Sieni con il suo “Paradiso” a Pesaro: «Il mio Eden dove poter depositare la memoria della danza»

Il coreografo Virgilio Sieni
Il coreografo Virgilio Sieni
di Elisabetta Marsigli
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Mercoledì 13 Ottobre 2021, 11:07

PESARO - Con un omaggio a Dante, si apre la stagione di danza di Pesaro: “Paradiso”, la coreografia di Virgilio Sieni per sei danzatori, sarà in scena questa sera alle 21 al Teatro Sperimentale. Virgilio Sieni, uno dei massimi protagonisti della danza contemporanea europea, non cerca di tradurre il testo dantesco in movimento, ma si pone sulla soglia di una sospensione, cercando di raccogliere il gesto primordiale, liberatorio e vertiginoso dell’amore (info: biglietteria dello Sperimentale 0721387548).

 
Perché ha scelto proprio di interpretare il Paradiso, forse la parte meno nota, a livello popolare, dell’opera di Dante? 
«Il Paradiso di Dante ricompone il corpo secondo una lontananza che è propria dell’aura, un luogo definito dal movimento, da ciò che è mutevole. È una sorta di gioco di rimbalzo con l’Eden, il giardino delle delizie. Tutto avviene cercando nel respiro delle piante la misura per costruire un giardino dove poter depositare la memoria della danza. Il Paradiso ci riporta ad una condizione molto legata ad una idea di sospensione: la libertà dell’uomo avviene attraverso l’amicizia e l’amore, e questo introduce al lavoro che stiamo portando avanti sulla tattilità e vicinanza».
Ha affermato di essere alla ricerca di una danza dialettale, che si forma per vicinanze e invenzioni di movimenti per contatto e tattilità. Che cosa è una danza dialettale? 
«La ricerca dell’origine della parola: una questione di codici che esistono sia nel linguaggio che nel movimento. Il dialetto è l’invenzione della parola e quindi occorre svincolarsi dai quei codici per costruire un’altra lingua che, a sua volta, ha altri codici, come la danza e il movimento. Noterete, soprattutto nei quintetti, come questi codici offrano risposte ai concetti di spazio e vicinanza. Il cammino di Dante non è assimilabile a niente, pura invenzione di una lingua inappropriabile che si trasforma in molecole di dialetto e oralità, gesto sospeso e luccicanze improvvise».
Una coreografia costruita per “endecasillabi di gesti” dove i versi della danza ritrovano il risuonare della rima da una terzina all’altra… 
«Ho fatto un lungo periodo di studio e lavoro sulle terzine e le ho insegnate attraverso il gesto: in sostanza associo dei gesti alla parola. E se la terzina ha una sua rima, anche il gesto ritorna, ricostruendo l’idea dell’endecasillabo. È davvero emozionante come le persone si ricordino benissimo le parole del testo e riescano a ricondurle al gesto che le evoca. Le terzine mi sono servite per darmi la stessa radicalità di espressione, il più possibile aderente al Paradiso, e ritrovarmi completamente nel ritmo dantesco». 
Un viaggio verso un’oasi di serenità? 
«È un cammino dall’umano al divino, dal tempo all’eterno.

Quello che rimane alla fine è un giardino come traccia della coreografia e fioritura dei gesti passati». 

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