PESARO - Un altro grande protagonista del cinema italiano come Giancarlo Giannini è stato ospite ieri sera, sul palco di piazza del Popolo, al Pesaro Film Fest in occasione della proiezione di “Pasqualino Settebellezze”, nella copia restaurata da Centro sperimentale di cinematografia-Cineteca Nazionale con la collaborazione di Rti e Infinity e con il sostegno di Genoma Film. Un doppio omaggio del festival, sia a una delle poche registe italiane del Novecento, Lina Wertmuller, che a uno degli attori più amati dal pubblico italiano e non solo, soprattutto per la sua capacità di interpretare più volte, al fianco della grande regista, ruoli di grande intensità.
Giannini si è detto commosso per il restauro di questo film che ha segnato la sua carriera: «È un film tra i più belli che ho fatto e che ha una lunghissima storia, ricca di aneddoti anche molto divertenti. Lina non voleva fare questo film, l’avevo trovato io il soggetto, ma lei non ne voleva sapere. Poi riuscii a trovare il finanziamento e fu quasi costretta». Ed è così che Giannini mostra il primo “soggettino” del film, un quaderno che tira fuori dalla sua borsa come per magia: «Da qui nacque tutto, Lina lo scrisse in tre ore di notte». Giannini non nasconde una certa nostalgia per il cinema di quell’epoca, fatto di rapporti e relazioni molto intense, ma anche molto giocose: «Le sceneggiature non dico che le scrivevamo insieme ma quasi. A volte stavo lì fino alle 5 del mattino con lei, recitando le scene mentre le scrivevamo. Un mondo che non c’è più».
I “Musicarelli”
Ricorda il suo esordio insieme a Lina nei “Musicarelli”, piccoli film musicali dove la Wertmuller usava uno pseudonimo e come per un altro film Lina non trovasse l’attore giusto, era “Mimì Metallurgico”: «Aveva scritto questa storia, ma né Manfredi né Mastroianni volevano farlo e quindi l’aveva accantonata.
La magia
La magia del cinema per Giannini è stata sempre importante, ma si discosta da coloro che parlano dell’attore come di uno che si immerge nel personaggio, optando per una idea molto più brechtiana: «È un mestiere buffo: l’attore sale sul palcoscenico da solo e ha una platea che lo guarda. È uno che crea un dialogo, una forma di dialettica che nasce con Aristotele e Platone. L’attore è comunicazione, quello è il divertimento. È difficile fare l’attore anche se poi lo fanno tutti». È un po’ scettico sul cinema contemporaneo, forse troppo condizionato dalla tv: «Viviamo attualmente in un mondo molto superficiale, ma forse bisogna toccare il fondo per risalire». E conclude: «Siamo tutti artisti, ma poi è difficile definire cosa è per noi l’arte. Non ho mai studiato davvero per fare l’attore, ma credo che la definizione migliore me la diede un grandissimo attore e mimo francese come Jean Louis Barrault: l’attore è colui che col suo movimento incide uno spazio e con la sua voce incide un silenzio».