Il grande scenografo Basili: «Dalle architetture della mia Montefiore ho tratto sempre ispirazione»

Il grande scenografo Basili: «Dalle architetture della mia Montefiore ho tratto sempre ispirazione»
Il grande scenografo Basili: «Dalle architetture della mia Montefiore ho tratto sempre ispirazione»
di Lucilla Niccolini
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Domenica 9 Ottobre 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 15:57

MONTEFIORE DELL'ASO - Il luogo del cuore di Giancarlo Basili è quello da cui è cominciato il film della sua vita. «Montefiore. E la valle dell’Aso, dove sono nato, proprio vicino al fiume». Ogni mattina, dalla campagna saliva in paese, per andare a scuola. «A piedi, su per la collina, fino a 400 metri sul livello del mare». Le immagini di quelle lunghe camminate, i gesti e le confidenze con i compagni, lungo la strada, gli sono rimasti impressi. «E sono tornati fuori quando mi hanno affidato l’ambientazione de “L’amica geniale”: un’altra regione, una terra diversa, ma quando ho suggerito a Saverio Costanzo, il regista, la scuola che appartiene ai miei ricordi, ha approvato».


Gli incontri


In paese, gli incontri tra coetanei. «Al cinema parrocchiale, dove ho passato tanti pomeriggi, immerso dentro “I dieci comandamenti”, poi “Per un pugno di dollari” e tutti i western.

Ero capace di entrare in sala alle due e mezza, e di uscirne quando era già notte: tre proiezioni di fila. Non mi bastava mai». Il ragazzino osserva, impara. «Il maestro Mastrantonio diceva che avevo talento nel disegno, che quella era la mia strada. Poi, alle medie, il prof di arte dissuase i miei genitori dal mandarmi alle professionali. Li convinse a iscrivermi all’Istituto d’arte a Fermo». Poi, l’Accademia di Belle Arti, a Bologna, e il primo ingaggio per le scene al Comunale. Pittura e scenografia teatrale, e il cinema. «Quando ho avuto l’idea di raccogliere ed esporre gli oggetti, le scene, le icone dei miei film più amati, dove avrei potuto, se non a Montefiore dell’Aso? Tutti mi chiedevano perché non farlo a Roma, o a Milano. Poi, quando ho condotto registi e attori amici a visitare il Centro di documentazione scenografica, hanno capito».

La forma semplice e armoniosa della piazza, l’architettura delle sale nel complesso di San Francesco, infine l’affaccio sulla valle, sullo sperone di Ripatransone e sulla corona di colline che corrono verso i monti: è qui che Giancarlo ha formato il suo occhio infallibile, capace di inquadrare il contesto, di immaginare ambienti, di suggerire atmosfere. Da questo amore per la sua terra, vengono contagiati i tanti amici che affollano ogni estate il suo festival, “Sinfonie di cinema”. «Chi non c’era mai stato, nelle Marche, si chiedeva perché tanta nostalgia per il mio paese. Adesso vogliono di tornarci».

Milanesi come Marco Tullio Giordana e Fabrizio Bentivoglio, o il romano Elio Germano, sono stati sedotti anche da come si mangia qui, dai prodotti locali come i tagliolini della vicina Campofilone. «E ottimi vini. Li conduco a fare il giro delle cantine. La prima è sempre quella di mio nipote Lorenzo Catasta, il cui bianco ha vinto grandi premi». La sorella Vera, con il marito, ha scelto di restare in campagna. «Mia madre Nannina, quasi centenaria, l’ho portata a vivere in paese. È felice, mi dice: mi fai fare la signora!».


I figli


I figli sono cresciuti altrove, ma tornano nei mesi estivi a Montefiore. Le invenzioni scenografiche di Giancarlo sono nate qui: «A queste architetture, frugali e perfette, ho pensato quando ho ideato i padiglioni degli Expo di Shanghai e di Milano». E poi: «Da ragazzo mi incantavo a osservare i santi del polittico di Carlo Crivelli e i personaggi di Adolfo De Carolis, a immaginarne i movimenti, come fossero tridimensionali. Sono stati i miei maestri di rigore e armonia». E qui che, quand’era studente a Bologna, ha trovato l’amore. «In piena contestazione, erano gli anni Settanta, mi sono innamorato di una ragazza che ho incontrato a Montefiore. Lavorava all’uncinetto: un ritorno alle radici, all’equilibrio, alla semplicità di noi marchigiani».

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