Il direttore artistico Pinamonti e il via del Mof: «Allo Sferisterio i titoli del grande repertorio»

Il direttore artistico Pinamonti e il via del Mof: «Allo Sferisterio i titoli del grande repertorio»
Il direttore artistico Pinamonti e il via del Mof: «Allo Sferisterio i titoli del grande repertorio»
di Fabio Brisighelli
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Mercoledì 19 Luglio 2023, 01:40 - Ultimo aggiornamento: 11:25

MACERATA - Prende il via domani il Macerata Opera Festival 2023. Il programma operistico dello Sferisterio è all’insegna di stimolanti scelte di repertorio: Carmen, La traviata, Lucia di Lammermoor.

Paolo Pinamonti, direttore artistico del Mof, perché questi tre titoli?
«Questi titoli del grande repertorio caro al pubblico rappresentano tre momenti importanti della storia del melodramma del XIX secolo. Lucia, l’ultima a presentarsi al festival, è l’archetipo dell’opera letteraria. A lei si deve il fenomeno della volgarizzazione diffusa della grande letteratura romantica del tempo».
Si tratta di una nuova produzione?
«È una coproduzione con le Chorégies d’Orange, località francese celebre per il suo imponente teatro romano sede di un festival estivo. L’anno prossimo Lucia sarà rappresentata lì. I nostri interpreti sono tra i più interessanti del panorama attuale; lo spettacolo del regista Jean-Louis Grinda è evocativo dell’ambientazione scozzese romantica del melodramma».
La traviata è quella celebre “degli specchi” creata dal geniale scenografo boemo Josef Svoboda, biglietto da visita dei più preziosi della lunga programmazione dell’arena maceratese.
«La traviata com’è noto rappresenta una tappa fondamentale dell’evoluzione verdiana, un punto di passaggio tra il primo Verdi e il Verdi della maturità. Lo spettacolo è quello di Svoboda (scenografo) - Brockhaus (regista) tanto legato allo Sferisterio, che l’ha rappresentato nel mondo. Un lavoro di tale qualità è doveroso riproporlo con una certa regolarità. La genialità di Svoboda resta un punto fondamentale della storia della scenografia teatrale».
Infine Carmen, che in questo percorso a ritroso nella lettura del cartellone, apre domani la stagione.
«Per Carmen, con il regista Daniele Menghini (che ritorna dopo il successo del Barbiere di Siviglia dello scorso anno, con due “sold out” all’attivo), con il drammaturgo Davide Carnevali e il maestro Donato Renzetti abbiamo pensato a uno spettacolo che si legasse profondamente allo spazio areniano. Del personaggio Carmen abbiamo cercato di approfondire in accordo con il regista il suo valore di ultimo grande mito europeo. Più che una stilizzazione della Spagna, abbiamo voluto cogliere nella storia della gitana e nei riti della corrida il contrasto tra ordine e disordine, tra forze dionisiache e demoniache e la sublimazione di esse. Se si vuole, un’iconografia molto variegata dei riti carnevaleschi della nostra tradizione».
In tema di scelte registiche per la messinscena del melodramma assistiamo oggi di frequente a pericolose fughe in avanti da parte di chi le realizza, nel senso del nuovo a tutti i costi, anche a dispetto della musica. Qual è la sua opinione?
«Credo che il tema da porre non sia tra tradizione e novità, ma attenga al lavoro registico di qualità, che deve trovare opportune declinazioni nelle scelte di palcoscenico. Le cito due modelli per me di assoluto rilievo, Le nozze di Figaro di Mozart alla Scala con la regia di Giorgio Strehler del 1981 (con Muti sul podio orchestrale) e insieme il Boris Godunov di Musorgskij che il regista tedesco Herbert Wernicke ha realizzato con Abbado a Salisburgo nel 1994. Uno spettacolo che ho portato alla Fenice di Venezia. Per chiudere, sono ostile alla trovata registica fine a se stessa, che non nasce dalla profonda drammaturgia della musica».
Nella sua qualità di musicologo, lei si è occupato anche di Rossini, curando l’edizione critica dell’opera Sigismondo, presentata al Rof 2010 con la direzione di Michele Mariotti e la regia di Damiano Michieletto. Che rapporti intrattiene con la Fondazione di Pesaro?
«È un rapporto ottimo e duraturo, sin dall’anno, il 1992, delle celebrazioni bicentenarie del compositore. Vedersi e discutere con personaggio di straordinaria cultura musicale quali Alberto Zedda, Philip Gossett e Bruno Cagli è stata per me un’esperienza indimenticabile. La conoscenza e la fama delle opere di Rossini nel mondo è largamente da ascriversi a loro merito. Con i membri del Comitato scientifico, anche per la collaborazione prestata, c’è un rapporto di amicizia e di stimolo a lavorare insieme sui temi musicologici da affrontare e approfondire».
Le scelte operistiche per il prossimo anno sono già definite o quantomeno orientate?
«Non posso fare anticipazioni al momento.

Ma non è un segreto che il 1924 è l’anno del centenario della morte di Giacomo Puccini».

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