Festival di Venezia, i deliri di Marguerite
la cantante più stonata della storia

Festival di Venezia, i deliri di Marguerite la cantante più stonata della storia
di dall'inviato Fabio Ferzetti
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Sabato 5 Settembre 2015, 20:07 - Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 20:52
VENEZIA - Tutta la bellezza del mondo e tutta la bruttezza che può abitare in una semplice voce. Tutte le opere d’arte che può contenere un museo - Francofonia di Sokurov - e tutta la follia, tutti i sogni, tutta la paradossale grandezza che può nascondersi dietro ai deliri di una cantante lirica completamente sprovvista di talento: Marguerite di Xavier Giannoli, secondo titolo in concorso della giornata.



E libera reinvenzione, nella Francia anni 20, della vera storia di Florence Foster Jenkins, la soprano più stonata che la storia della lirica ricordi, realizzata battendo sul tempo Stephen Frears, che sta dando gli ultimi ritocchi al suo “biopic” eponimo con Meryl Streep nei panni della mitomane abituata a esibirsi nei circoli della migliore società newyorkese negli anni 30-40. Fra pari rango troppo educati, e troppo occupati a deriderla fra loro, per dirle la semplice verità (della vera Jenkins, per chi vuole affrontare la prova, esistono anche registrazioni incredibili sul web).



Portando tutto nella Francia del primo dopoguerra l’eclettico Giannoli (suo un bel film mai arrivato in Italia con Depardieu cantante al tramonto,

Quand J’étais chanteur) fa di Marguerite una ricca borghese e mecenate a tempo perso che ha sposato un nobile spiantato. E infligge le proprie performance vocali a un circolo di compiacenti notabili di provincia che sopportano tutto, un po’ per riderne un po’ per godere della lussuosa ospitalità in casa della coppia. La prima parte del film, la migliore, vede entrare in azione due giovani artisti d’avanguardia intrufolatisi in uno dei suoi surreali recital, prima sbalorditi e poi decisi a sfruttare la credulità e le ricchezze della povera Marguerite (l’ottima Catherine Frot, alle prese con un ruolo a dir poco acrobatico). Ma una volta presentati i personaggi - tra cui il fedele maggiordomo di colore che è anche il suo non disinteressato fotografo personale, e il marito pronto a ogni bassezza per sfuggire a quelle esibizioni - il film inizia a girare a vuoto e per uscire dall’impasse Giannoli tenta di fare di Marguerite una specie di Ed Wood del bel canto, sacerdotessa inconsapevole di una religione senza fedeli.



GROTTESCO

Ma la bruttezza in arte è una brutta bestia che spinge sulle strade obbligate del ridicolo o del grottesco. Così, tra una performance anarco-dadaista (che indigna le damazze), e una posa discinta per l’obiettivo del maggiordomo-fotografo, Marguerite finisce a prendere lezioni da un tenore italiano in disgrazia e non meno grottesco di lei (Michel Fau), ma abbastanza ipocrita e interessato per stare al gioco (esilarante almeno la scena in cui la ascolta, ignaro, per la prima volta). E si perde un po’ per strada lo spunto satirico che attraverso la cantante stonata allude ai tanti artisti in circolazione sprovvisti di talento, e ai mercanti, ai critici, ai mecenati che li sostengono. Anche nel cinema naturalmente.
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