Monsignor Trasarti: «Accoglierò il nuovo vescovo, poi scomparirò»

Monsignor Armando Trasarti
Monsignor Armando Trasarti
di Lorenzo Furlani
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Sabato 8 Luglio 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 11:38
C’è un segno profetico nell’episcopato di monsignor Armando Trasarti, il motto che scelse nell’ottobre del 2007 quando fu ordinato vescovo per guidare la diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola, le parole di Gesù riportate nel Vangelo indirizzate ai discepoli spaventati sulla barca in mezzo alla tempesta: “Io sono, non abbiate paura”.
Monsignor Armando, sono passati 16 anni, nella celebrazione di ringraziamento ha detto che la sanità di Fano e Pesaro le ha salvato la vita quattro volte: quel motto Ego sum nolite timere ha protetto con la diocesi anche lei.
«È vero, sì. Me l’hanno detto, questo motto mi ha aiutato. L’esortazione di Gesù sulla barca che affondava, per le vicissitudini della diocesi e mie, è stata la cornice profetica dell’episcopato. La diocesi, la cui amministrazione era stata segnata nel tempo dalla malattia di quanti mi hanno preceduto, rischiava la bancarotta e ha ripreso un’economia sana. Io ho rischiato la morte quattro volte: il primo tumore, il batterio streptococco, il secondo tumore e il Covid».
E ha continuato a guidare la diocesi: perciò il suo cuore è gonfio di gratitudine, come ha testimoniato nell’ultima omelia. In quell’occasione e nella prolusione per la cittadinanza onoraria ha usato parole molto belle per Fano e per il territorio. Che cosa le resta dentro?
«L’amore per il popolo: solare, quasi romagnolo, schietto, generoso. Mi sono trovato a mio agio, arrivando mi avevano detto da Pesaro: non pensare che sia come a Fermo. Invece, ho trovato tutto il contrario. La collina di questa alta marca fanese è dolcissima, non è spigolosa come la nostra fermana o come l’urbinate. Ha modellato un popolo che mi ha voluto bene nella verità. Insieme al clero, mi sono compromesso con il popolo, partendo dalla sponsalità di cui porto l’anello. Quando andai la prima volta a Pergola il sindaco fu severo, disse: speriamo che la periferia sia trattata con rispetto. Poi si sono accorti che l’ho curata. Con don Luca abbiamo fatto 60mila chilometri all’anno girando per tutte le parrocchie. E il popolo questo l’ha riconosciuto».
Un tratto distintivo del suo episcolato sono state le relazioni con i sindaci per favorire l’unità del territorio. Nel suo discorso, a San Francesco, ha fatto un appello ai doveri della politica, sottolineando che la vigilanza sulla legalità è necessaria anche in questo territorio.
«Sì, ho qualche preoccupazione, ma non certezze. Me lo dicono alcuni imprenditori: se negli appalti i ribassi d’asta sono alti c’è qualcosa che non funziona. La legalità è un problema grande. Ma per legalità intendo anche che non bisogna chiedere la carità per ciò che è giusto. L’ho detto anche agli assessori e ho combattuto per questo. È il problema delle convenzioni per le case di riposo: a una sì, all’altra no».
Quando arrivò nella diocesi trovò i debiti e lesse subito certe dinamiche fanesi segnate da conflitto di interessi e concentrazione di potere.
«Di potere, sì. Ho distinto i ruoli, nel rispetto. E ho risanato i debiti. Noi vescovi non dobbiamo mai dare l’idea di andare sottobraccio con il potere. Siamo servitori. La mia grande forza è stata la libertà. Ai vescovi eletti si dice che il primo che arriva a baciare la mano è il più pericoloso. Con la mia esperienza, ne ho trovato conferma».
Il nuovo vescovo, monsignor Andrea Andreozzi, che si insedierà domani in Cattedrale, viene come lei dal Fermano e come lei è stato parroco alla Svizzera, come viene chiamata la parrocchia di Porto Sant’Elpidio. Questo le fa piacere?
«Certo, ma non ci pensavo, non ho fatto nulla per favorire questa scelta e non l’ho neanche appresa subito perché quando il nunzio me l’ha comunicata per email si è inceppato il computer. Ma la più bella parola che mi ha detto il nunzio è che questa è una diocesi desiderata. È importante per Fano, terza città delle Marche, l’assegnazione del nuovo vescovo, alla diocesi che nella regione è terza per territorio e anche per popolazione. Non era scontato. In verità, non c’è stato un dibattito per riservare a Fano la stessa sorte di Urbino. Ma qualcuno avrebbe voluto».
Cosa dirà al nuovo vescovo?
«Di voler bene a questo popolo, che lo amerà da morire. E gli dirò che ha un buon clero, che tiene unito il territorio con le sue quattro cattedrali perché ho mandato i preti della costa a guidare le parrocchie interne, e ha una diocesi con tante eccellenze sociali e spirituali. Lui ha una bella testa e ha lavorato molto anche nel mondo operaio».
E monsignor Armando Trasarti cosa farà adesso?
«Adesso devo scomparire. Domani accoglierò il nuovo vescovo sulla porta della Cattedrale e poi partirò, ci sarà un’auto pronta. Non voglio che si pianga per me, tutti devono gioire per lui. A Fermo ho sistemato un appartamentino di 30 metri quadrati nel monastero delle Benedettine. Farò l’emerito a disposizione del vescovo di Fermo, mi hanno già chiamato qua e là nelle Marche e anche nel Nord Italia. Andrea deve essere sé stesso. Gli ho detto che se avrà bisogno di me verrò, ma in seguito. Adesso devo andare via. I saluti a me ora fanno molto male».
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