Dal caro gasolio ai veti dell'Unione Europei: la pesca marchigiana in cattive acque

Dal caro gasolio ai vetti dell'Unione Europei: la pesca in cattive acque
Dal caro gasolio ai vetti dell'Unione Europei: la pesca in cattive acque
di Veronique Angeletti
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Sabato 19 Agosto 2023, 02:15 - Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 08:37

ANCONA - Non è tanto il granchio blu a minacciare la pesca nelle Marche. Ma il caro gasolio e quei piani di gestione dell’Adriatico che fanno figli e figliastri. Una policy dettata dall’Europa con regolamenti che non sempre tengono conto dell’economia della pesca e rischia di aprire un portone al pesce d’importazione extra Ue a discapito di quello fresco italiano.

Il fermo

Un mercato dove l’11% del pescato nazionale è fornito dalle marinerie marchigiane. Oggi, gran parte della categoria è in panchina. Con il fermo pesca, dal 29 luglio, sono bloccate le attività dei pescherecci dal Friuli-Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche e della Puglia.

I pescatori, da Trieste ad Ancona e da Bari a Manfredonia, torneranno in mare il 9 settembre mentre nel tratto centrale da Porto San Giorgio a Termoli, le attività si fermeranno dal 19 agosto fino al 24 settembre. Giuseppe Pallesca, presidente della cooperativa sambenedettese Progresso, rappresenta la metà dei pescatori di San Benedetto del Tronto. 

Carburante alle stelle


«L’aumento del prezzo del gasolio, prima fortemente legato alle incertezze geopolitiche dovute all’invasione russa dell’Ucraina e poi all’inflazione - spiega - ha contribuito a mettere in difficoltà l’attività dei pescatori quest’ultimo anno. Certo, ci sono stati sussidi e agevolazioni statali, ma rimane un salasso. Ed il peggio è che il prezzo sembra non smettere di crescere e ha raggiunto di nuovo quota 90 centesimi. Lo stesso che ha fatto scattare l’anno scorso lo sciopero dei pescherecci. Adesso, per una media imbarcazione si arriva a spendere fino a 15mila euro al mese».

Anche se è il fermo pesca a far scattare davvero il malcontento in banchina. Prezioso per il ripopolamento di alcune specie e previsto dal piano europeo di gestione del Mediterraneo occidentale è accusato di non tenere conto dell’economia reale. Francesco Caldaroni di Civitanova Marche, presidente delle Marinerie d’Italia e d’Europa, affronta il problema di petto. «Il fermo pesca - sostiene - deve essere considerato pure dal punto di vista dei pescatori. In pratica, su richiesta dell’Europa, l’Italia domanda di ridurre lo sforzo di pesca. Il che significa che attualmente, con un calo dell’8%, peschiamo tre giorni a settimana. Ma se l’anno prossimo ci richiedono un ulteriore 8%, sarà impossibile garantire con soli due giorni e mezzo un contributo minimo ai marittimi. Inoltre - incalza - non valuta i risvolti negativi sul mercato che, in assenza del nostro pesce fresco, andrà ad approvvigionarsi sul mercato extra europeo, presso le multinazionali, mettendo ancora di più in crisi il nostro indotto». Un fermo pesca che, ricorda Tonino Giardini responsabile Pesca di Coldiretti e coordinatore del Gruppo Pesca Fano, «mira a riportare l’habitat ad una situazione di equilibrio e spingere le risorse a ricostituirsi in maniera naturale al fine di mantenere gli stock ittici a un livello tale da poter essere sfruttati anche nel futuro».


La minaccia


Da giugno scorso la minaccia di un altro stop, quello alla pesca a strascico nelle aree protette entro il 2030. Giardini ricorda che nel 2019 la Commissione Europea nella lista di specie ittiche in difficoltà aveva già ipotizzato misure stringenti per la pesca a strascico, considerata quella con il maggiore impatto. «Il problema - spiega - non sono gli ambiziosi obiettivi sulla fauna marina ma i tempi stretti imposti. Incideranno sulla capacità di pesca delle imbarcazioni, della flotta e metterà in ginocchio il sistema. Con il rischio che consentirà al pescato con i sistemi a strascico fuori Ue di soddisfare la richiesta interna europea che, già oggi, è soddisfatta dal pescato Ue solo al 40%».

Apollinare Lazzari, presidente dell’Associazione Produttori Pesca di Ancona, rappresenta una quarantina di barche, insomma circa 200 famiglie che dipendono dal mare. «Il caro gasolio, il fermo pesca, lo stop alla pesca a strascico sono i suoi malanni quotidiani ma, pragmatico, suggerisce intanto di agire sul mercato. Ossia di indire campagne - che educhino il consumatore sulla qualità e le stagioni del pesce fresco e a non richiedere sempre le stesse specie».

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