ANCONA - Partiamo dal 2010, quando il governo con la legge 122 ha soppresso la Ssica - Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari - nata nel 1922 come ente pubblico di ricerca: le sue funzioni sono state assorbite dalla Camera di commercio di Parma, che poi nel 2015 l’ha trasformata da azienda speciale a Fondazione di ricerca. Una tripla metamorfosi che però non ha cambiato la sostanza e cioè che le aziende collegate alla Ssica hanno continuato a pagare la tassa per le conserve alimentari.
Quanto costa
La quota che è arrivata a Parma dalle Marche ha superato i 200mila euro, la cifra più alta mai pagata dalle imprese regionali.
I conflitti interni
«Sono state evidenziate criticità sul piano della corretta gestione della Fondazione - si legge nel documento -, un profondo conflitto tra i componenti del consiglio di amministrazione, tra quest’ultimo e il direttore generale, il mancato esercizio da parte del presidente delle funzioni attribuitegli dallo Statuto, lo svolgimento di riunioni del cda senza una convocazione del presidente, verbalizzazione sommaria delle sedute, mancata adozione del regolamento di organizzazione». Commissariamento che è stato prorogato per un altro anno dal 28 ottobre scorso e che dovrebbe mettere in linea una filiera che fa acqua da tutte le parti. Tranne nella riscossione dei tributi che pesa su 3.370, per un totale di quasi 7,5 milioni l’anno, «pari al 68,5% del fatturato della Ssica stessa - sottolineano i consiglieri regionali -. Il contributo (che parte da 274 euro) viene calcolato in base alla retribuzione lorda annuale dei propri lavoratori dipendenti e paradossalmente va a sfavore delle industrie con meno intensità di capitale e di conseguenza contro i principi di capacità contributiva, penalizzando le aziende che hanno più lavoratori dipendenti in regola».
La battaglia nelle Marche
In sostanza i consiglieri di maggiranza sottolineano che la Ssica «non riesce a distinguersi per efficacia ed utilità nei confronti delle aziende che pagano il contributo alla fondazione e che ci sono molte aziende marchigiane impegnate nell’industria delle conserve che pagano questo contributo dalla dubbia utilità. Dunque va abolita».