Bina, dell’incubatore AC75: «Ma c’è poco credito. Con noi si accelera verso l’ innovazione»

Bina, dell’incubatore AC75: «Ma c’è poco credito. Con noi si accelera verso l’ innovazione»
Bina, dell’incubatore AC75: «Ma c’è poco credito. Con noi si accelera verso l’ innovazione»
di Maria Cristina Benedetti
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Giovedì 18 Aprile 2024, 01:40 - Ultimo aggiornamento: 12:46

Un emigrato che all’incontrario va, Matteo Bina. «Sono arrivato da Milano ad Ancona per raccogliere la sfida di far nascere un acceleratore d’impresa». Laurea in Economia e master in Business administration al Politecnico meneghino, è lui il direttore di AC75, un presidio sul futuro, nei locali storici, vista mare, del dorico Palazzo Camerata. 
Un nome, un presagio. È la stessa sigla del monoscafo a vela dell’America’s Cup, che riesce ad alzarsi in volo sulla superficie del mare.
«La nostra missione è far decollare le realtà che entrano nei programmi che proponiamo. A differenza degli incubatori, che offrono assistenza per compiere i primi passi, con il business o il financial plan, noi investiamo». 

 
Il venture capital, una pratica con la quale l’Italia ha poca dimestichezza. 
«È vero, siamo ancora molto indietro anche rispetto ai Paesi europei con una dimensione economica simile alla nostra, come Francia, Germania e Spagna.

C’è anche un problema di eco-sistema».

Si spieghi.
«Abbiamo pochi fondi d’investimento e con scarso denaro a disposizione».

È difficile da scalfire la tradizione degli strumenti finanziari bancari? 
«Esatto, ed è un errore. L’accesso al credito è un privilegio riservato solo a coloro che hanno uno storico di fatturato consolidato. Chi muove i primi passi non può averlo, ed è tagliato fuori. La letteratura economica è densa di esempi eclatanti».

Li ricordi. 
«Senza il capitale di rischio non sarebbero mai nate Apple, Google, Amazon».

Torniamo alla versione local. Qual è l’obiettivo di AC75? 
«Portare qui start up innovative, farle collaborare con aziende strutturate del territorio che non hanno possibilità di puntare su ricerca&sviluppo. In sintesi: open innovation». 

Ovvero? 
«Il paradigma afferma che le imprese possono e devono fare ricorso anche a idee esterne, se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche». 

Quindi? 
«È un richiamo che si estende a tutto il mondo. Oggi sei delle sedici emergenti selezionate dal nostro ultimo bando arrivano da America, Germania, Spagna, Irlanda, Singapore».

Il metodo? 
«Entriamo a far parte del loro capitale, assimiliamo parte delle quote, le accompagniamo nella crescita con un sostegno iniziale di 102mila euro e, dopo un tempo medio di cinque anni, se cresciute a sufficienza, possono essere acquisite, quotarsi in Borsa o proseguire sulle proprie gambe».

Immagino che abbiate dei partner di supporto.
«In prima linea ci sono Cassa depositi e prestiti, Intesa Sanpaolo, Amplifon, Politecnica e Inrca. Essenziali sono le risorse delle Fondazioni Marche e Cariverona». 

Ad Ancona dal 2022, sempre vista mare. 
«Esatto. Siamo alla terza edizione di NextAge, un percorso declinato sulla silver economy, per individuare soluzioni dedicate agli over 60. Essere la seconda regione in Italia per aspettativa di vita significa essere un’eccellenza. Qui c’è un'ottima rete universitaria. Il terreno è fertile».

Per fare start up serve un ambiente confortevole. 
«Non è necessario il caos metropolitano. La qualità della vita e un vivace tessuto imprenditoriale sono atout che le Marche possono giocarsi sul piatto dell’innovazione».

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