Mare di crediti al buio, Banca Marche a picco: tutta la verità del grande crac in 580 pagine di motivazioni della sentenza

«Fidi concessi dopo soli due giorni e mancanza di garanzie»

Mare di crediti al buio, Banca Marche a picco: tutta la verità del grande crac in 580 pagine di motivazioni della sentenza
Mare di crediti al buio, Banca Marche a picco: tutta la verità del grande crac in 580 pagine di motivazioni della sentenza
di Federica Serfilippi
4 Minuti di Lettura
Domenica 6 Agosto 2023, 02:50 - Ultimo aggiornamento: 16:12
«Superficialità delle istruttorie delle pratiche di fido», il merito creditizio che «non veniva considerato affatto», erogazioni concesse in «assenza di garanzie, o in presenza di garanzie inadeguate e, in taluni casi, soltanto apparenti». Ergo: un crac da due miliardi, linee di credito finite sotto la lente della procura per 400 milioni e migliaia di risparmiatori finiti in rovina. Scorrono lungo 580 pagine le motivazioni della sentenza del crac di Banca Marche, che lo scorso gennaio ha portato a sei condanne e ad altrettante assoluzioni per i vertici dell’istituto di credito e della controllata Medioleasing.  


Le anomalie


Una mala gestio, per i giudici, dovuta «a gravi irregolarità» nei meccanismi operativi, e con «anomalie e criticità» legate all’apertura delle linee di credito. Per rendere l’idea: ci sono state erogazioni «al buio» di fronte a carenze documentali e trascurando il rispetto dei passaggi previsti nella filiera del credito. Tanto che, ricordano i giudici, a volte la proposta di affidamento proveniva direttamente e proprio dal direttore generale Massimo Bianconi, senza i dovuti e passaggi intermedi all’interno della filiale di riferimento. Ma c’è di più: le pratiche di fido erano limitate dal punto di vista temporale, con concessioni che avvenivano dopo due soli giorni dell’inserimento della richiesta nel sistema. Un indicatore, questo, della «superficialità dell’istruttoria». Un meccanismo impensabile oggi, anche solo per chi si azzarda a chiedere in banca un prestito minimo. 
E ancora, i giudici ricordano come l’apertura di linee di credito avveniva nei confronti di società, di fatto, da poco costituite, come nel caso de La Città Ideale del Gruppo Lanari, che avrebbe dovuto far risorgere il complesso dell’ex Santa Cristiana. Società che non avevano le dovute garanzie e su cui non veniva fatta neppure una perizia sul progetto immobiliare (perché l’esposizione maggiore della banca era su quel fronte) da finanziare. Neanche la crisi edilizia del 2008 ha fatto fare un passo indietro alla dirigenza della banca.

Quando tutti chiudevano i rubinetti, «le scelte di Banca delle Marche sono state quelle di continuare ad erogare liquidità a prenditori per notevolissimi importi o già in difficoltà finanziarie». Alcuni, poi, sono falliti. E le somme concesse sono andate a fare parte del gran buco nero di Banca Marche. Perché le ulteriori concessioni? L’intento finale era quello «di far figurare utili a bilancio, cosi ottenendo i premi di produzione, oltre che, attraverso la iper-rappresentazione di utili a bilancio conseguiti». 


I fini personali


Per il collegio, «gli indicatori di fraudolenza» rinvenuti nelle pratiche contestate svelano al volontà di Bianconi e Stefano Vallesi «di utilizzare il patrimonio di Banca Marche con fare spregiudicato». Quella dei due ex vertici sarebbe stata «una condotta di privati speculatori». I giudici si soffermano soprattutto sul conflitto di interesse in capo all’ex direttore generale. L’ex dg aveva interesse che le «società riferibili agli imprenditori con cui direttamente o indirettamente deteneva collegamenti ottenessero cospicue risorse di denaro che spesso tornavano nelle sue personali disponibilità». Ed ecco, allora, l’apertura di linee di credito facilitate, come avvenuto nei confronti dell’imprenditore pugliese Davide Degennaro (già processato con Bianconi per corruzione tra privati, le posizioni sono prescritte). Era l’ex dg a proporre la singola pratica ottenendo che la filiera, di fatto, trovasse il modo di portarla avanti. Più “tenera” la posizione del collegio nei confronti di Giuseppe Paci e Massimo Battistelli, i cui comportamenti «risultano pienamente dimostrativi della scelta di adesione e contributo».


La controllata


Stando al tribunale, Medioleasing sarebbe servita a «sanare i conti della capogruppo riversando il rischio di credito sulla prima»; e a «continuare a garantire o, comunque a garantire flussi di liquidità a determinate società e gruppi economici per consentire loro di superare eventuali crisi finanziare e mantenere inalterato il proprio merito creditizio». Dell’aleatorietà delle operazioni di leasing erano a conoscenza, per giudici, sia Daniele Cuicchi che Giuseppe Barchiesi. Quest’ultimo, «al pari dei coimputati Bianconi e Vallesi, aveva sicuro interesse a far figurare utili per l’azienda al fine di conseguire anche gli importanti incentivi economici».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA