Dentro gli argini, il fiume disegna la sua corsa e si fa strada verso il mare. Ora placido, ora agitato; secco a volte, gonfio e rigoglioso in altre stagioni, semplicemente procede, incurante di tutto e di tutti. Sente su di sé un solo dovere, il fiume: andare, portare l’acqua dalla sorgente al mare, scorrere, fluire, proseguire la sua corsa indipendentemente da chi incrocia il suo cammino. Esattamente come la quotidianità di chi vive tra gli estremi che fanno sentire a casa il cuore. Lì in mezzo, negli argini speciali lungo cui si sviluppa la vita, tra i numeri e la famiglia, c’è Roberta Belletti, commercialista e assessore all’urbanistica del Comune di Civitanova: a quella combo sui generis - uno di quei binomi che in pochi sentono così addosso - lei appartiene, fiera e consapevole dell’importanza del canale che hanno disegnato.
La curiosità
«Forse è un caso - ride allegra - ma tra la nascita delle mie due figlie sono passati quattordici mesi, esattamente come quelli passati tra la mia nascita e quella di mio fratello Paolo.
Sono un baluardo quei numeri, una presenza sicura, la certezza che fa avanti e indietro tra ieri e oggi. Funziona così anche per i volti, e quando si parla di volti fondamentali, nella memoria di Roberta si fa subito avanti il sorriso di babbo Adriano. «Ho avuto un rapporto splendido con entrambi i miei genitori, ma con mio padre ci siamo sempre capiti al volo - comincia -. Aveva un aspetto burbero, ma nel suo petto si chiudeva un cuore davvero d’oro. Era sempre pronto ad aiutare il prossimo, a far sentire tutti a casa. Ricordo ancora con tanto affetto i pomeriggi in cucina, passati a preparare insieme deliziosi pranzi a base di pesce. Le vigilie di Natale a casa nostra erano leggenda: mio padre cucinava per lo sterminato stuolo di parenti che avevamo e io lo aiutavo felice. E la felicità esplodeva a primavera o d’estate, quando la preparazione dei pranzi luculliani diventava la preparazione di cestini viaggio e pic-nic. Ricordo con affetto le gite fuori porta, le scampagnate a Montefortino, le giornate in spiaggia e le sieste nella Pineta di Porto Sant’Elpidio: quelle mattine mio padre si alzava prestissimo, preparava tutto, riempiva le borse frigo e via, verso una giornata insieme che sapevo già sarebbe stata bellissima».
Se i numeri nella sua vita fotografano tante coincidenze, segnano anche il recinto dentro cui rimangono i volti importanti, eredità di tempi lontani ma mai spenti. Dagli anni da ragazzina, esattamente «dal primo giorno di scuola di prima media, davanti all’edificio in zona Capacchietti si fa avanti il ritratto di quella che è diventata l’amicizia per la vita, compagna di studi, di passeggiate in centro, di primi amori, grandi avventure e di tutte le tappe della vita». Definisce cosi Francesca - in una parola, l’amica di una vita.
«In quel giorno di settembre, davanti al cancello della scuola, ricordo ancora lo sguardo che ci siamo scambiate: io e Francesca ci siamo guardate di sottecchi, diffidenti e sospettose l’una dell’altra. La fortuna, però, ha voluto che i prof ci assegnassero banchi vicini. In men che non si dica, la guerra fredda è diventata prima pacifica coesistenza e, poi, un’amicizia vera, profonda. Siamo diventate compagne per la pelle, di quelle che ti coprono con i genitori quando arriva un brutto voto o che provano a strappare un sì a tua madre quando non è proprio d’accordo con l’idea che tu esca e passi fuori la serata. Quante battaglie con mia madre: lei era un osso duro, ma l’insistenza mia e di Francesca non era certo da meno».