MACERATA «Bene il riconoscimento dello Sferisterio come monumento di interesse nazionale. Ma, purtroppo, pare che non meriti di essere considerato patrimonio Unesco». A dirlo è l’ex assessore alla Cultura e attuale consigliera di Macerata Bene Comune, Stefania Monteverde. Un plauso sì, al riconoscimento ottenuto dall’Arena, ma con una sottolineatura su quella che - a suo avviso - si tratta di una occasione persa.
La posizione
«La Regione Marche non ha ritenuto di inserire lo Sferisterio nella lista dei 62 teatri storici marchigiani proposti per la candidatura a patrimonio Unesco come Rete dei teatri storici delle Marche.
Il locale
Monteverde riporta poi la questione sul locale: «Spiace il silenzio del sindaco Sandro Parcaroli e dell’assessora alla cultura Katiuscia Cassetta, piegati sulle posizioni di partito, rinunciando a sostenere la candidatura dello Sferisterio come patrimonio Unesco. Qualche sospetto c’è sul perché il teatro di Ascoli avrà il doppio riconoscimento nazionale e internazionale, mentre lo Sferisterio di Macerata dovrà accontentarsi solo di quello nazionale. Lo Sferisterio è un teatro storico, con tutti i requisiti per stare nella rete dei teatri delle Marche presentata all’Unesco. Ma pare non abbia abbastanza santi in paradiso». Allora ecco l’impegno per l’Arena: «Saremo noi maceratesi i “santi” dello Sferisterio, e continueremo a chiedere che il nostro amatissimo teatro sia giustamente inserito nella rete dei teatri delle Marche candidati a patrimonio Unesco». Sulla scia del riconoscimento dello Sferisterio a monumento nazionale, la consigliera evidenzia poi la necessità di impegnarsi «per fare in modo che sia sempre più vissuto e condiviso con tutta la comunità. Che non sia solo un bene legato al turismo, ma diventi quello che è sempre stato nella storia dei suoi 200 anni: un bene in cui la comunità maceratesi è ritrovata. Sia data opportunità alle scuole, alle scuole di musica e alle associazioni di viverlo. Bene i concerti, ma non bastano. Ci vogliono investimenti e una politica che guardi alla cultura non come bene economico ma anche comune».