Terra di Mistrà e amari. Nelle Marche giovani e meno giovani stanno imbottigliando distillati di ogni età

Terra di Mistrà e amari. Nelle Marche giovani e meno giovani stanno imbottigliando distillati di ogni età
Terra di Mistrà e amari. Nelle Marche giovani e meno giovani stanno imbottigliando distillati di ogni età
di Véronique Angeletti
3 Minuti di Lettura
Lunedì 21 Agosto 2023, 16:54

Se il genius loci è determinante per innalzare una ricetta a tipicità, declinato dagli uomini di oggi, regala contemporaneità ad usanze e sapori. Distillati e amari insegnano. Da meno di un lustro, nelle Marche, giovani e meno giovani stanno imbottigliando vecchie e nuove identità. Storie di essenze e di viaggi nelle memorie da assaporare tenendo a mente i luoghi dove nascono.


La particella dialettale

Come l'amaro "Que", particella dialettale arceviese che, con enfasi, messa prima del verbo ricorda le radici di chi fa la domanda. Un nettare rielaborato partendo dai ricordi degli anziani dai trentenni del Castello di Palazzo Lorenzo Purgatori, Michele e Matteo Fattori a cui si sono aggiunti, i due comaschi innamorati di Arcevia, Carlo e Renzo Ruffini. All'assaggio si sente la nota intensa e balsamica del rosmarino, temperata dalle foglie di ulivo e dal miele, prodotti da agricoltori locali. Il liquore ha un sapore equilibrato e, pur rimanendo deciso e corposo, è morbido al palato (28° vol.). Da bere secco o con ghiaccio, ideale come digestivo da meditazione ma anche come aperitivo. Fa coppia con l'altro prodotto bandiera, il mais ottofile di Roccacontrada (antico nome del paese). Nec plus ultra: hanno installato in diversi punti del paese dei Nove Castelli delle "Cornici Que" per selfie e shooting.

Le due versioni

Il Mistrà del maceratese Silvano Scalzini ha due versioni. C'è il "3 essenze", la classica, e il "7", per intenditori. Spiega che «chi compra Il "3" ha un mistrà dal gusto forte e secco senza zucchero. Perfetto in cucina, dissetante con scorza di limone e acqua e, a fine pasto, ottimo digestivo.

Mentre con il "7", l'assaggiatore mette nel bicchiere la sua lunga ricerca». Lo ha perfezionato stuzzicando i pensieri-pareri dei clienti frequentatori del "Picciolo di rame", il ristorante roccaforte delle usanze contadine maceratesi che gestiva fino al 2020 in una delle torri del castello di Vestignano dell'XI secolo a Caldarola. «Ho speculato - confessa - sulle essenze carpendo i segreti di vecchi contadini. Per i dosaggi e le proporzioni, mi sono fidato dei clienti trentini e più di tutto veneti che, al contrario di tutto il resto del mondo, conoscono il Mistrà benché sia una tipicità del maceratese, del fermano e dell'ascolano». Riflessione su cui innesta la sua personale versione del Mistrà marchigiano. «Tutti - spiega - conoscono i liquori al gusto di anice tipo sambuche, anisette, il Pastis, l'Ouzo che, a differenza del Mistrà secco, sono liquori dolci». Ricorda che deriva della Rocca di Mistra, città bizantina nel Peloponneso che incrocia la sua storia nel XVII secolo con la Serenissima. «I francesi riportarono dalla Grecia l'Ouzo e lo chiamarono Pastis, mentre i veneziani gli lasciarono il nome che ricordava la Rocca».

La ricetta originaria

Ma le Marche? Le contaminazioni derivanti dai rapporti mercantili tra Fermo e il Veneto nel XIII secolo. Di fatto in una recente ricerca, il food explorer veneto Fabio Busetto ha accertato che la ricetta originaria del Mistrà risale al XIII secolo quando Lorenzo Tiepolo, in contatto probabilmente con la città di Mistra per motivi commerciali e culturali, fu podestà a Fermo e costruì un porto per le navi della Serenissima tra il 1230 e 1267 a Porto San Giorgio prima di diventare Doge di Venezia.

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