Salvi e Frani, un viaggio nel segno del misticismo: la rassegna “Salvifica” si chiude domenica a Sassoferrato

Salvi e Frani, un viaggio nel segno del misticismo: la rassegna “Salvifica” si chiude domenica a Sassoferrato
Salvi e Frani, un viaggio nel segno del misticismo: ​la rassegna “Salvifica” si chiude domenica a Sassoferrato
di Véronique Angeletti
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Martedì 23 Gennaio 2024, 03:25 - Ultimo aggiornamento: 12:32

Superbamente “Salvifica” la rassegna internazionale d’arte/Premio G.B. Salvi a Sassoferrato. La nuova formula ideata l’anno scorso si dimostra ancora più vincente in questa 72esima edizione in mostra fino a domenica, 28 gennaio. Prima di tutto perché (ri)mette le opere del “Sassoferrato” al centro dell’evento con tele mai esposte al grande pubblico. Opere che già da sole valgono la visita. Ma pone il pittore seicentesco in un confronto stimolante, serrato con artisti contemporanei che, forte dei loro linguaggi visionari, cambiano i soliti e fissi punti di fuga.

La sfida

Di fatto, come ha stupito la 71esima “Salvifica, il Sassoferrato e Nicola Samorì tra rito e ferita” – l’artista ha trasformato i geodi, le fessure ricche di concrezioni di quarzo e calcare di tavole di pietra, in lesioni aperte intorno alle quali ha dipinto con rara maestria il viso della Madonna - meraviglia e convince il confronto iconico e mistico tra le opere del molisano Ettore Frani e dieci dipinti inediti di Giovanni Battista Salvi. Tutto nasce dalla scelta di dare un nuovo impulso a una rassegna (seconda per longevità alla Biennale di Venezia) senza rinnegare spirito, storia e memoria. Sfida che i curatori, Massimo Pulini, l’esperto vivente di Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato, artista del 1600, e Federica Facchini, docente all’Accademia delle Belle Arti di Macerata, hanno rilevato collegando passato e presente in un intimo dialogo creando nuovi angoli di osservazione. Stabilendo un azzeccato ideale parallelo creativo tra la posizione estetica del Salvi, «artista del silenzio e della stasi, gemma isolata nel pieno di quell’epoca barocca dominata da un moto compulsivo, da un’aria che scuote le veti e lievita i corpi» e il figurativo, raffinatissimo, meticoloso Ettore Frani.

Un sottile gioco di reciprocità che fa (ri)scoprire il “Sassoferrato”.

Il nero fumo

Tramite un ideale parallelo con la poetica di Frani, il “Sassoferrato” smette di «essere il pittore troppo uguale a se stesso». Merito del lavoro impressionante di asportazione, graffiatura e incisione del profondo nero fumo di Frani che riesce a far emergere come metafore la purezza del bianco laccato delle tavole di legno. Dal buio assoluto, si sprigionano mani, fiamme di luce, pennelli, schiene, visi che ricordano dettagli e le figure del maestro Salvi. La realtà – sembra dirci Ettore Frani – non scaturisce da un fondo di tenebra da cui deve emergere con violenza, ma da una luce che siamo chiamati a proteggere, custodire e amare, perché noi veniamo dalla luce, è questa la nostra origine. Ma è nel dialogo con dieci dipinti inediti del Salvi provenienti dal mondo collezionistico e antiquario che i due curatori rendono la mostra portentosa. Per la prima volta sono esposte oli su tela come il “San Giovanni Bambini”, «unica iconografia – evidenzia lo storico dell’arte Pulini - sinora mai rilevata, che dimostra il realismo dal tempo sospeso del Salvi»; o la “Maddalena in preghiera”, composizione ideata dal Salvi a differenze di altre icone che derivano da modelli di Perugino Raffaello o Guido Reni «più cruda e racchiusa, più curata negli oggetti che (di nuovo) potrebbe essere precedente alle altre». Esposta anche la “Sacra famiglia” altra invenzione del Salvi dove converge staticità e viaggio.

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