Il presidente della Provincia Michele Ortenzi: «Con la pistola lanciafrecce presi in fronte mio padre»

Il presidente della Provincia Michele Ortenzi: «Con la pistola lanciafrecce presi in fronte mio padre»
Il presidente della Provincia Michele Ortenzi: «Con la pistola lanciafrecce presi in fronte mio padre»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 25 Febbraio 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 15:11

FERMO - Per generare un fuoco, serve innanzitutto una scintilla. Un input, un segnale, un innesco: quel clic che dia avvio a quell’incendio. È un meccanismo naturale e forse pure fisiologico, come quando nella nostra vita la memoria incrocia la traiettoria di un volto, di una situazione, di un ricordo o di qualcosa che sembra familiare e, come una scintilla, può generare quell’incendio di emozioni che talvolta significa ricordare. A questa legge non può sfuggire Michele Ortenzi, il presidente della Provincia di Fermo, quando una domanda lo riporta indietro nel tempo. Poche, semplici parole: «Lei come era da bambino?». È questo lo schiocco, l’innesco del vortice che scompagina i fogli dell’album dei ricordi.

Il carattere

«Sono sempre stato un sognatore - ammette Ortenzi -: ero anche molto vivace e, raccontano gli aneddoti che girano in famiglia, che fossi anche un tipo abbastanza lagnoso.

A conferma di questa etichetta, riportano tutti la cronaca di quello che succedeva nel bar vicino casa di mio cugino Marco, quello con il biliardino all’ingresso. Ogni qualvolta arrivavo e lo vedevo occupato dagli altri bimbi, dicono tutti che scoppiavo in un pianto così fastidioso che gli occupanti alla fine mi cedevano il loro posto. Pare che questa scena si sia ripetuta così frequentemente e con così tanta energia che, a furia di scenate, appena comparivo io all’orizzonte, i bambini mi lasciavano spontaneamente il biliardino, con la speranza di non sentirmi mai più frignare in quel modo», ride. Tra i ricordi di Michele, la scintilla di avvio di tante avventure ha due gambe e un cuore altrettanto dedito all’avventura e alla scoperta: «Con mio cugino Marco, ogni occasione di incontro si trasformava in un’occasione epica - comincia -: da piccoli, ne abbiamo combinate di ogni, in virtù del fatto di essere quasi coetanei e del fortissimo rapporto che ci legava. A farne le spese erano spesso i nostri nonni materni, cui i miei genitori e quelli di mio cugino ci affidavano quando uscivano di casa. Alcune di quelle occasioni se le ricorda bene mio nonno, cui abbiamo rischiato di mandare a fuoco casa perché, chiusi nel garage, avevamo acceso un fuoco imitando la scena di un film visto poco prima. Per non parlare della volta in cui a fare le spese della nostra creatività, per così dire, fu il suo motorino, che riverniciammo completamente. Andandolo a spostare, nonno rimase imbrattato da capo a piedi dalla vernice fresca. Con Marco eravamo inseparabili ma anche potenzialmente molto pericolosi: il feeling che esisteva tra noi era lo stesso che mi legava a suo padre, mio zio Giacomo, uomo allegro, burlone e dalla battuta sempre pronta. Ogni anno il 19 agosto, come è tradizione per la mia famiglia, ci ritroviamo per una gita a San Ruffino e un pranzo all’Ambro. Ancora mi ricordo l’anno in cui mi presentai, la mattina, con una pistola lanciafrecce nuova di zecca. All’ora di pranzo, una delle frecce scagliate con orgoglio in aria si incastrò nel tronco di un albero. Non voleva proprio saperne di uscire e allora fu mio zio Giacomo a dirmi che, se ne avessi lanciata un’altra in fronte a mio padre, quella rimasta sull’albero sarebbe caduta. Seguii fedelmente le sue parole e anche se, naturalmente, nessuna delle due frecce tornò nelle mie mani, per tutta la famiglia la scena di mio padre con una freccia in fronte rimase negli annali».

La scuola

La scintilla divampa e scoppia anche il sorriso, quando i ricordi bussano sulla soglia dell’adolescenza. Ad affacciarsi è il Michele dell’ultimo anno di Liceo, che apre con uno strano vestito in maschera: «Fino ai 22 anni, il veglione di Carnevale, per me, faceva rima con il teatro Alaleona di Montegiorgio - sentenzia -: ricordo le maschere, l’odore delle fritture tipiche del periodo, la musica. Quell’anno, io e i miei compagni di scuola optammo per una originalissima maschera da orologi Swatch da noi realizzata, che prevedeva un fronte uguale per tutti e un retro personalizzato ognuno con una lettera della parola Swatchissimi, che formavamo mettendoci uno vicino all’altro. Impiegammo un mese e mezzo per realizzarli tutti: ogni pomeriggio, dopo scuola, ci ritrovavamo insieme e, armati di gommapiuma e vernici, realizzavamo quel travestimento, che ci valse addirittura il primo posto».

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