Elogio della transizione nel Paese dello status quo

Elogio della transizione nel Paese dello status quo

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 17 Febbraio 2021, 10:15

La gran parte dei commentatori è concorde nel ritenere che il nuovo governo si fonda su un equilibrio fra continuità e novità. Fra queste ultime vi è l’istituzione del nuovo ministero della transizione ecologica. Il concetto non è fra quelli di più frequente utilizzo, né nella letteratura scientifica né fra i policy maker. Nei recenti documenti dell’UE, dal discorso di indirizzo al Parlamento Europeo di Ursula von der Leyen ai documenti di indirizzo per il Next Generation EU, si parla continuamente della “twin transition” (cioè la transizione verde e la transizione digitale) ma non si menziona mail la transizione ecologica. Dal punto di vista scientifico il concetto non è nuovo tanto che il punto di riferimento per il dibattito continua ad essere il volume pubblicato nel 1976 dall’antropologo americano John W. Bennet il cui titolo era, appunto, “The Ecological Transition”. Il sottotitolo del volume, “Cultural Anthropology and Human Adaptation”, fa capire la prospettiva con la quale viene utilizzato il concetto. Si tratta della relazione fra le attività umane e l’ambiente naturale; ovvero come rendere sostenibile nel lungo termine la civiltà umana sul nostro pianeta. Si tratta di una prospettiva ben più generale di quella implicata nella transizione verde, che fa riferimento principalmente al tema del riscaldamento globale. In questo ambito l’obiettivo della UE è di arrivare ad una situazione di neutralità in termini di emissioni di gas serra entro il 2050. In realtà la proposta di Green New Deal della Commissione Europea fissa obiettivi molto più ambizioni del solo impatto sul clima; in esso si menzionano esplicitamente la tutela e il ripristino della biodiversità, lo sviluppo di citta verdi e la riduzione dei rifiuti e dell’inquinamento industriale. In questa accezione vi è una sostanziale omogeneità di significato fra la transizione “green” di cui si parla nell’UE e la transizione ecologica utilizzata per indicare il nuovo ministero. Ma il problema non è tanto l’aggettivo quanto il sostantivo: transizione. In questo caso i cambiamenti da realizzare sono talmente rilevanti che sarebbe meglio parlare di rivoluzione.

La transizione ecologica comporta cambiamenti radicali e da effettuare in tempi rapidi. E non si tratta solo di cambiamenti nelle tecnologie. Non basta adeguare i processi produttivi o di generazione dell’energia. Su questi aspetti l’Italia è in buona posizione; siamo fra i primi in UE per produzione di energia da fonti rinnovabili e le nostre imprese hanno fin qui dimostrato di tenere il passo nell’adeguare le tecnologie di processo. Sul fronte dell’automazione industriale siamo in molti casi leader non solo nell’adozione ma anche nella produzione. Ma la transizione ecologica non è solo una questione di tecnologia. Essa comporta cambiamenti radicali nei comportamenti dei consumatori e nei modelli di business delle imprese. E un epocale spostamento di lavoro e di capitale da settori in declino a nuovi settori. Il conflitto fra old e new economy sarà generalizzato. Anche all’interno degli stessi settori di attività, con l’obsolescenza di molti lavori e la crescita di altri. E questa rivoluzione dovrebbe riguardare non solo il settore privato ma anche quello pubblico. Il problema consiste nel fatto che il nostro paese ha fin dimostrato scarsa capacità di favorire o accettare i cambiamenti. Il nostro sistema istituzionale, ai diversi livelli, è congegnato in modo da favorire il potere di veto e l’immobilismo piuttosto che le possibilità di riforma. Abbiamo una pubblica amministrazione generalmente inefficiente ma estremamente efficace quando si tratta di opporsi al cambiamento. I prossimi anni saranno decisivi per capire se il nostro paese sarà in grado tenere il passo dei paesi avanzati o se continueremo nella lenta erosione delle nostre posizioni e delle nostre opportunità. Al ministero della transizione ecologica spetta di indicarci le possibilità e le direzioni per il cambiamento, ma il risultato non dipenderà dalle risorse finanziarie destinate alla transizione ecologica quanto dalla capacità di tutto il sistema paese di accettare il cambiamento. L’equilibrio fra continuità e novità rischia di essere un freno. 

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

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