La gran parte dei commentatori è concorde nel ritenere che il nuovo governo si fonda su un equilibrio fra continuità e novità. Fra queste ultime vi è l’istituzione del nuovo ministero della transizione ecologica. Il concetto non è fra quelli di più frequente utilizzo, né nella letteratura scientifica né fra i policy maker. Nei recenti documenti dell’UE, dal discorso di indirizzo al Parlamento Europeo di Ursula von der Leyen ai documenti di indirizzo per il Next Generation EU, si parla continuamente della “twin transition” (cioè la transizione verde e la transizione digitale) ma non si menziona mail la transizione ecologica. Dal punto di vista scientifico il concetto non è nuovo tanto che il punto di riferimento per il dibattito continua ad essere il volume pubblicato nel 1976 dall’antropologo americano John W. Bennet il cui titolo era, appunto, “The Ecological Transition”. Il sottotitolo del volume, “Cultural Anthropology and Human Adaptation”, fa capire la prospettiva con la quale viene utilizzato il concetto. Si tratta della relazione fra le attività umane e l’ambiente naturale; ovvero come rendere sostenibile nel lungo termine la civiltà umana sul nostro pianeta. Si tratta di una prospettiva ben più generale di quella implicata nella transizione verde, che fa riferimento principalmente al tema del riscaldamento globale. In questo ambito l’obiettivo della UE è di arrivare ad una situazione di neutralità in termini di emissioni di gas serra entro il 2050. In realtà la proposta di Green New Deal della Commissione Europea fissa obiettivi molto più ambizioni del solo impatto sul clima; in esso si menzionano esplicitamente la tutela e il ripristino della biodiversità, lo sviluppo di citta verdi e la riduzione dei rifiuti e dell’inquinamento industriale. In questa accezione vi è una sostanziale omogeneità di significato fra la transizione “green” di cui si parla nell’UE e la transizione ecologica utilizzata per indicare il nuovo ministero. Ma il problema non è tanto l’aggettivo quanto il sostantivo: transizione. In questo caso i cambiamenti da realizzare sono talmente rilevanti che sarebbe meglio parlare di rivoluzione.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni