Iran Israele, il sistema di alleanze: chi sta con chi? Dagli Stati Uniti a Russia, Cina e mondo arabo

Da quando è stata fondata Israele ha ricevuto dagli Usa l'equivalente di oltre 300 miliardi di dollari

Iran Israele, il sistema di alleanze: chi sta con chi? Dagli Stati Uniti a Russia, Cina e mondo arabo
Iran Israele, il sistema di alleanze: chi sta con chi? Dagli Stati Uniti a Russia, Cina e mondo arabo
4 Minuti di Lettura
Lunedì 15 Aprile 2024, 18:38

 Chi sta con chi? Non è tutto schematico come sembra. In Medio Oriente il risiko di alleanze o semi-alleanze contrapposte sono cementate da interessi e da inimicizie comuni più che da veri valori condivisi (retorica a parte). È ciò su cui fanno affidamento Israele e Iran, sulla soglia di un'escalation che gli ultimi sviluppi bellici lasciano sospesa al limite del crinale d'una voragine imperscrutabile. Un risiko i cui intrecci, regionali e globali, prendono qua e là le forme sfuggenti di un arabesco, con ambiguità e sovrapposizioni talora sorprendenti rispetto a certi schemi fin troppo semplicistici: in un quadro nel quale il grande gioco della geopolitica riflette giochi di ombre e di specchi.

A volerla ridurre in bianco e nero, la sfida vede fronteggiarsi da un lato i paladini occidentali dello Stato ebraico, guidati dagli Usa e affiancati da partner sunniti storicamente vicini all'influenza di Washington (e Londra); dall'altro il sedicente 'asse della resistenza' formato da Stati, movimenti e milizie (sciite e non) foraggiate dalla Repubblica Islamica, col sostegno ad assetto variabile di potenze mondiali non allineate all'Occidente, in primis Russia e Cina. Nell'ambito di quella che solo molto parzialmente, e non senza contraddizioni evidenti, può tratteggiarsi come una battaglia fra 'democrazie' e 'regimi autoritari'.

Israele e gli Usa

Il pilastro della coalizione su cui fa leva Israele è, a conti fatti, uno ed uno soltanto: gli Stati Uniti, che dopo la rappresaglia iraniana dell'altra notte provano a tenere a freno il governo Netanyahu nel timore di un'escalation ingestibile; ma che continuano ad assicurare una sorta di garanzia sovrana sulla sicurezza dell'alleato junior malgrado le recenti ruggini fra Joe Biden e Benyamin Netanyahu alimentate dall'impatto dei sei mesi di raid sulla Striscia di Gaza palestinese seguiti all'attacco di Hamas del 7 ottobre. Un grande fratello che, dalla fondazione dello Stato sionista, ha versato nelle sue casse l'equivalente di oltre 300 miliardi di dollari fra aiuti militari ed economici, senza trascurare la sponda diplomatica e i veti all'Onu: una linea di credito senza fondo, letteralmente vitale, doppia - per peso finanziario - a quanto pompato nei decenni verso gli altri tre partner alternativamente più dipendenti dalle risorse americane, ossia Egitto, Afghanistan e il defunto Vietnam del Sud. Dietro gli Usa ci sono poi gli alleati occidentali della Nato, con il Regno Unito in prima battuta e la Francia in seconda anche nel decisivo contributo militare all'intercettazione di droni e missili iraniani.

Il composito fronte musulmano

Mentre nel mondo musulmano sembra aver tenuto - a vantaggio d'Israele - lo schieramento filo-americano dei Paesi sunniti, Arabia Saudita e monarchie del Golfo in testa, che da anni guardano all'Iran (eterodosso in quanto sciita, ai loro occhi) come un rivale regionale sempre più assertivo.Schieramento del resto tutt'altro che monolitico o privo di sfumature: in seno al quale solo la Giordania ha riconosciuto di aver partecipato direttamente all'abbattimento di alcuni droni di Teheran, sullo sfondo di una realtà che vede altri partner strategici dell'Occidente, ad esempio il Qatar, guardarsi bene dal rinnegare relazioni di dialogo ormai consolidato con l'Iran.

E senza contare l'atteggiamento oscillante d'un attore dell'importanza della Turchia di Erdogan, sunnita ma non arabo, sospeso fra la fedeltà alla Nato, i ritrovati canali di comunicazione con gli ayatollah e l'ostilità sempre più marcata verso Israele e Netanyahu; quello dell'Egitto di al-Sisi; o quello dell'Iraq post-Saddam, 'cliente' Usa fin dalla caduta del rais, ma governato oggi da una maggioranza sciita imparentata con i vertici religiosi iraniani.

Iran, l'Asse della Resistenza

Sull'altro piatto della bilancia, Teheran appare d'altronde meno isolata che in passato grazie ai margini di manovra aperti dalle concomitanti crisi geopolitiche segnate dalla guerra fra Russia e Ucraina, dalla riesplosione del conflitto israelo-palestinese o dall'impennata delle tensioni fra Cina e fronte americano nel Pacifico. Margini tradottisi in un rafforzamento della cooperazione militare con Mosca ed economica con Pechino, in aggiunta ai legami "di vario grado", per usare le parole di Jonathan Beale, defence correspondent della Bbc britannica, con i soggetti dell'autoproclamato asse della resistenza. Dagli Houthi sciiti, che controllano la capitale e il cuore del territorio dello Yemen, presidiando non senza minacce per gli interessi occidentali le cruciali rotte del Mar Rosso, agli Hezbollah, sciiti anch'essi, che dominano il sud del Libano e restano al governo a Beirut; da Hamas e Jihad Islamica nei territori palestinesi (per quanto entrambi sunniti) ad alcune sigle irachene.nfine al regime di Damasco: il cui leader, Bashar al-Assad, deve proprio ai pasdaran iraniani (oltre che alla Rus E isia di Vladimir Putin) la sopravvivenza al potere in Siria dopo un decennio di sanguinosa guerra civile contro l'opposizione spalleggiata da Occidente, sauditi e turchi, ma pure contro Al Qaida o l'Isis. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA