Emanuela Orlandi e la donna romana (oggi 59enne) che rivendicò il sequestro: le lettere e il codice segreto inviati al corrispondente della Cbs a Roma

identificazione da parte della Procura di Roma di una donna, all'epoca 19enne, che registrò il messaggio contenuto in un nastro inviato dagli Stati Uniti, ha di fatto riaperto il caso

Emanuela Orlandi e la donna romana che rivendicò il sequestro: le lettere e il codice segreto
Emanuela Orlandi e la donna romana che rivendicò il sequestro: le lettere e il codice segreto
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Martedì 1 Agosto 2023, 12:20

Una nuova svolta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi arriverebbe direttamente da Boston. Lo riporta il Corriere della Sera. L'identificazione da parte della Procura di Roma di una donna, all'epoca 19enne, che registrò il messaggio contenuto in un nastro inviato dagli Stati Uniti, ha di fatto riaperto il caso. Il colpo di scena dell'individuazione della giovane che rivendicò il rapimento di Emanuela nel dicembre 1983 è infatti avvenuto nell'ambito di un'inchiesta collegata, quella sull'omicidio di Katy Skerl, e adesso verosimilmente gli atti passeranno di mano, dal pm Erminio Amelio al collega Stefano Luciani, titolare del fascicolo aperto un paio d'anni fa, dopo un esposto al Csm della famiglia Orlandi. 

Chi è la donna dell'audio

Finto accento anglofono e un testo scritto a penna. Per quarant’anni chi ha letto uno dei messaggi di rivendicazione del rapimento di Emanuela Orlandi è stato solo una voce, oggi ha un volto e un nome. Si tratta di una donna di Roma Nord di 59 anni, ma nel 1983 - anno della scomparsa di Emanuela - era una diciannovenne. La sua identità è stata svelata nell’ambito delle indagini legate al furto della bara di Kety Skerl, un’adolescente uccisa nel 1984, avvenuto al Verano nel 2022.

Chi è Marco Accetti


Il pm Erminio Amelio ha sentito diversi testimoni e tra questi c’è anche Marco Accetti, fotografo e regista, già condannato per l’omicidio preterintenzionale del dodicenne Jose Garramon, avvenuto nel dicembre 1983. Lo stesso Accetti nel 2013 ha dichiarato di essere in possesso del flauto di Emanuela Orlandi, strumento che poi si è rivelato molto simile ma non lo stesso della quindicenne cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno 1983. Il pubblico ministero ha convocato più volte il supertestimone e reo confesso Accetti, che in passato si è autoaccusato della sparizione della ragazza senza tuttavia essere ritenuto credibile dai magistrati. Nei suoi attuali verbali si menzionerebbe il nome di una donna che, all’inizio di dicembre 1983, registrò su un’audiocassetta un messaggio di rivendicazione del sequestro. L’audio, insieme a un testo scritto a penna, fu inviato da Boston (Massachusetts) al giornalista americano Richard Roth, corrispondente da Roma per la Cbs. È una delle quattro rivendicazioni pervenute dagli Stati Uniti che, all’epoca, furono ritenute autentiche a seguito di una comparazione grafica con le precedenti lettere del cosiddetto “Amerikano”.

La registrazione spedita da Boston

La registrazione spedita da Boston e arrivata in Italia il 6 dicembre 1983 è riconducibile a una donna di 59 anni, romana, che è già stata convocata dai magistrati. E davanti agli inquirenti ha ammesso il proprio ruolo nella vicenda, limitatamente alla realizzazione del comunicato di rivendicazione nel quale si reiterava la richiesta – già altrove avanzata – di uno scambio tra Emanuela Orlandi e Ali Agca, autore, il 13 maggio 1981, dell’attentato a Papa Wojtyla. «Sono stata coinvolta nella realizzazione del comunicato quasi per gioco, ignorando i complessi retroscena del caso», ha raccontato.

Va tenuto presente che allo stesso giornalista Roth, tra il settembre e la fine di quell'anno, sempre da Boston arrivarono tramite posta aerea anche 4 messaggi scritti a penna, ritenuti autentici dagli investigatori, nonché, su un cartoncino, l'indicazione di un codice ("795-RNL") da usare come passepartout per comunicazioni riservate. Le tre lettere - R, N, L - potrebbero spiegarsi come un rimando sottotraccia: sono tutte presenti nella parola "Orlandi". I numeri invece - 7, 9, 5 - non sono ancora stati decrittati.

Le lettere dei sequestratori

La prima lettera da Boston confermava la richiesta di scarcerazione dell'attentatore del Papa, seguita dalla minaccia di «rendere pubblico un episodio che rimorde la nostra coscienza»; la seconda forniva notizie su Mirella Gregori, vittima il 7 maggio 1983 (46 giorni prima di Emanuela) del «prelevamento effettuato nel piazzale della porta Pia»; la terza alludeva a una misteriosa «soppressione in data 5-10-1983»; mentre la quarta, con il consueto fraseggiare solo all'apparenza astruso, richiamava sia il movente internazionale (frenare l'anticomunismo di papa Wojtyla) sia quello economico (riavere indietro i soldi inghiottiti dal crack del Banco Amrosiano), che andavano considerati le ragioni di fondo del sequestro delle due quindicenni (per esaminare i comunicati uno ad uno, cliccare qui).

Il riferimento alla morte di Paola Diener

Nella terza lettera si leggeva: «Comunicheremo esclusivamente alla persona del segretario di Stato vaticano cardinale Agostino Casaroli il nominativo della cittadina soppressa il 5-10-1983 a causa della reprensibile condotta della segreteria vaticana». Cosa intendevano dire i sequestratori? Tre decenni dopo, nel 2013, al momento di consegnare il flauto riconosciuto dagli Orlandi e di autoaccusarsi del rapimento di Emanuela e Mirella, è stato il fotografo romano Marco Accetti, oggi 67enne, a fornire una chiave: «Parlando di "cittadina soppressa" ci riferivamo a Paola Diener, fulminata sotto la doccia il 5 ottobre 1983. Avevamo attenzionato quella giovane in quanto legata al Vaticano e sfruttammo la sua morte per far pensare alle nostre controparti che ne fossimo responsabili. In realtà, si trattò di un bluff, un modo, riuscito, per intimidire ed esercitare pressioni». Ebbene, la storia era vera: ai cronisti bastò consultare gli archivi per accertare che effettivamente, come riportato dal Messaggero il 6 ottobre 1983, Paola Diener, 33 anni, era morta «fulminata da una scarica elettrica» nella sua casa di via Gregorio VII, dove viveva con la mamma e il papà, Joseph Diener, capo-custode dell'Archivio segreto vaticano. 

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