Fabriano, vende le società ma finisce in trappola. Suicida per dolore: truffatori condannati

Vende le società, ma finisce in trappola. Suicida per dolore: truffatori condannati
Vende le società, ma finisce in trappola. Suicida per dolore: truffatori condannati
di Stefano Rispoli
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Mercoledì 17 Gennaio 2024, 05:15 - Ultimo aggiornamento: 13:46

FABRIANO Quando ha scoperto che gli assegni che gli spettavano si erano volatilizzati, non ha retto al dolore: ha preso una corda e si è impiccato in casa. A distanza di 6 anni, la giustizia ha quantomeno omaggiato la memoria di un anziano imprenditore fabrianese e riconosciuto i diritti dei suoi eredi (moglie e due figli) che si sono costituiti parte civile, tramite l’avvocato Ruggero Benvenuto, nel processo a carico di 5 persone, accusate di truffa aggravata: l’unica donna imputata, una 46enne di Rosora, è stata assolta, gli altri 4 - tutti della Vallesina - sono stati condannati a 8 mesi ciascuno (pena sospesa) dal giudice Francesca Grassi. Dovranno anche risarcire in solido gli eredi della vittima: fissata una provvisionale di 50mila euro a fronte di 200mila euro richiesti.

Gli sviluppi

Per il raggiro che sarebbe stato messo in piedi nell’ambito dell’acquisizione di due società attive nell’ambito della commercializzazione di materiale ferroso, di cui la vittima all’epoca era il legale rappresentante, ora rischia il processo anche il ragioniere che si era occupato di ratificare gli accordi nel suo studio in Vallesina: il giudice ha rimesso gli atti alla Procura per valutare se sussista il reato di falsa testimonianza.

Era il 21 febbraio 2017 quando i 5 imputati - padre e figlio di 67 e 33 anni, marito e moglie 46enne e un 49enne - siglavano una scrittura privata con l’imprenditore fabrianese, all’epoca 84enne, in cui si impegnavano, per conto delle 3 società che rappresentavano, a subentrare nelle quote delle sue due società: l’accordo da 200mila euro prevedeva il saldo in 6 rate mensili, ma solo 55mila euro sarebbero stati versati alla scadenza dei termini.

A titolo di garanzia, i 5 acquirenti avevano presentato 12 assegni per complessivi 135mila euro, consegnati in deposito fiduciario al ragioniere prescelto, impegnandosi a saldare i debiti con le banche.

Ma a distanza di 7 mesi dall’accordo, tre di loro si erano presentati di nuovo dal professionista mostrando un’altra scrittura privata in cui comunicavano di aver adempiuto agli impegni e modificato gli accordi per divergenze sulle rimanenze di magazzino e, per questo, si erano fatti restituire gli assegni. Nel corso del processo il ragioniere ha spiegato di aver accertato la bontà dei patti con una telefonata al figlio della vittima, nel frattempo divenuto titolare delle due società in cessione. Eppure il diretto interessato ha smentito di essere a conoscenza di questi nuovi accordi e ha denunciato le controparti, difese dagli avvocati Franco Argentati, Alessandro Depretis e Giulia Ceccarelli Michelini. Ieri il giudice ha condannato 4 dei 5 imputati (assolta la moglie di uno di loro) a 8 mesi ciascuno, stabilendo una provvisionale di 50mila euro a titolo di risarcimento, in attesa della quantificazione del danno in sede civile.

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