«Fate funzionare l’ospedale
o togliete il nome di Carlo»

«Fate funzionare l’ospedale o togliete il nome di Carlo»
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Mercoledì 10 Gennaio 2018, 05:35
JESI - «L’ospedale Carlo Urbani nasceva come punto di riferimento di qualità per tutta la Vallesina. Si sta trasformando in bacino sanitario precario, dal quale i medici sono in fuga. Con amarezza, se si manterrà questa triste deriva non saremo più disponibili a vedere su quella struttura il nome di Carlo». Parole che fanno rumore, perché a metterle nero su bianco sono Giuliana Chiorrini, vedova di Carlo Urbani, e i figli del medico eroe scomparso a Bangkok nel 2003. Il primo a identificare e classificare la Sars, Sindrome Respiratoria Acuta Grave, permettendo di evitare la pandemia e di salvare migliaia di vite, contraendo al tempo stesso il male e rimanendone vittima. E per questo, doverosamente, l’uomo a cui si è scelto di intitolare l’ospedale di Jesi e della Vallesina, dove Urbani era nato, a Castelplanio, nel 1956. Una intitolazione che, secondo i familiari del medico eroe, stride con le condizioni attuali dell’ospedale. Al punto di indirizzare una lettera aperta «agli amministratori della sanità marchigiana, con lo spirito di migliorarne la situazione».

La signora Giuliana ricorda le parole del figlio maggiore, Tommaso, in occasione della intitolazione: «Io e la mia famiglia auspichiamo che tutti quanti lavorano qui applichino quotidianamente gli ideali che hanno fatto crescere e accompagnato mio padre. Disponibilità, rispetto, passione per la professione». Oggi, dice la vedova di Urbani: «Con amarezza dobbiamo verificare che quello spirito, se esisteva, e non ne abbiamo dubbi, si è perso quasi completamente».

Nel mirino la sorte, secondo alcuni segnata, del reparto di Broncopneumologia, dove attualmente sono due i medici e che ha visto la riduzione dei posti letto fra dicembre e gennaio. «Già all’inaugurazione fu notato che il pannello che indicava la BPN non c’era- ricorda Giuliana Chiorrini- come fosse già decisa una soppressione consumata nel tempo. Conosciamo personalmente e direttamente la qualità dei servizi dell’Urbani, garantiti solo dalla disperata abnegazione del personale che cerca di salvare il salvabile. E’ innegabile che ci siano situazioni al limite della sopravvivenza. Crediamo, come famiglia che ha accettato con orgoglio di accompagnare questa realtà col nome di un nostro caro, che queste ambiguità vadano rimosse. Ci chiediamo se esista un progetto di futuro per il Carlo Urbani».

Fino a ipotizzare di non voler più l’attuale intitolazione. «Carlo si è speso fino al sacrificio finale per l’accesso alla salute di chi ne era ingiustamente privato. E’ netta la sensazione che a emergere non siano le logiche del diritto alla salute ma altre. Di fronte a questo Carlo si ribellava, lo sa bene chi l’ha conosciuto. Non avrebbe tollerato di offrire il nome a un servizio che rischia di remare contro i principi che ha sempre sostenuto». I familiari di Urbani si rendono “disponibili, per fare chiarezza, a visitare prima possibile, insieme ai responsabili sanitari, tutti i reparti dell’ospedale, per verificare le criticità».
 
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