ANCONA Quattro camere vista mare, per l’umanità dei senza fissa dimora. Con l’Adriatico nello sguardo, un gruppo di giovani stranieri sceglie come riparo, e giaciglio per la notte, le arcate che sfilano in sequenza tra l’arco Clementino, costruito su disegno del Vanvitelli per celebrare papa Clemente XII, e quello romano dedicato all’imperatore Traiano, uno dei simboli della città.
Il paradosso
Quasi fosse casa, per quei diseredati che condividono un destino di segno opposto a quello d’uno scalo che pensa in grande, tra l’ambizione delle maxi-crociere, l’aspettativa dei super-eventi e la riqualificazione della piazzetta della Casa del Capitano, con un degno corollario di panchine, aiuole, alberelli, illuminazione e varchi con veduta sui resti romani.
Il connubio
Sdraiato a terra, circondato dal suo povero tesoretto della quotidianità, gli occhi del poveretto cercano riparano dalla luce nelle pieghe di una coperta di fortuna. Sembra un connubio tra suggestioni e povertà. La cronaca, privata dell’incanto della contaminazione, è solo la solitudine d’un senza tetto, costretto a trascorrere il suo tempo malinconico nello stesso porto antico dai sogni di gloria. È lì adagiato, quel ragazzo dalle origini lontane, nel tempo e nella cultura. Dorme indisturbato, ma chissà cosa si affolla nella sua mente. La stessa incertezza segna il volto di un altro giovane, di quella piccola comunità ai margini, che poco distante, nella fragile riservatezza di un angolo, risolve le sue necessità corporali. Ecco l’immagine plastica di un problema irrisolto, nonostante gli sforzi del passato. È stata l’azione congiunta del questore di Ancona Cesare Capocasa e del presidente dell’Autorità di sistema portuale Vincenzo Garofalo a cancellare il degrado sotto le pensiline della Stazione marittima. Una mossa che nel tempo s’è dimostrata inefficace: l’emergenza si è solo spostata solo più in là, di qualche centinaia di metri, sotto quelle volte.
La migrazione
Aveva tentato di risolvere l’urgenza e di infrangere il muro dell’indifferenza anche il sindaco dorico Daniele Silvetti. Aveva annunciato che avrebbe voluto ricevere in Comune i pachistani che s’erano accampati nell’androne di fronte all’ascensore del Passetto, a un passo dal mare. Anche loro come scudi, per proteggersi dal freddo e dall’umidità che penetra nelle ossa, avevano solo sacchi a pelo e un ammasso di coperte. Un capitolo ancora della migrazione infinita per l’umanità dei senza fissa dimora.