San Benedetto, arrestati per corruzione
Spina, un maresciallo e un ingegnere

L'ex patron della Samb Sergio Spina
L'ex patron della Samb Sergio Spina
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Domenica 12 Aprile 2015, 19:21 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 17:20
SAN BENEDETTO - Tre arresti eccellenti in Riviera, un vero e proprio terremoto giudiziario che ha scosso tutto il territorio. All’alba di ieri i carabinieri si sono presentati nelle abitazioni di Sergio Spina, ex presidente della Sambenedettese calcio, dell’ingegnere Ennio Sanguigni di Cupra Marittima e del maresciallo della Guardia di Finanza Alberto Camposeo della compagnia di San Benedetto.





Tutti e tre sono stati arrestati e rinchiusi nel carcere di Marino del Tronto, messi a disposizione del magistrato che nelle prossime ore li sentirà per l’interrogatorio di garanzia. Sergio Spina e il maresciallo Alberto Camposeo sono accusati di corruzione, Ennio Sanguigni di falso e riciclaggio. Il giudice ha ritenuto che esistessero fondati motivi di inquinamento delle prove e ha quindi deciso la misura cautelare in carcere per tutti e tre gli indagati.

Secondo quanto sarebbe emerso dalle indagini, portate avanti dai carabinieri, e che sembra facciano riferimento ad episodi risalenti al 2007, il maresciallo della Guardia di Finanza Alberto Camposeo, in forza alla caserma di San Benedetto, si sarebbe “messo al servizio” dell’ex patron della Samb Sergio Spina passandogli informazioni riservate che gli potevano essere utili e in cambio di questi servizi Spina gli avrebbe ceduto gratis una striscia di terreno fronte mare di 227 metri quadri sul litorale di Cupra.

In sostanza, per l’accusa, i due, con l’aiuto dell’ingegnere Sanguigni, avrebbero mascherato la compravendita del terreno con quella che gli inquirenti considerano invece “una mazzetta”, in cambio di favori, facendo passare tutto per una finta compravendita per un importo di diecimila euro.

E qui, come dicevamo, entra in ballo anche l’ingegnere Ennio Sanguigni, anch’egli in carcere da ieri con l’accusa di falso e riciclaggio, il quale, sempre secondo il castello accusatorio degli investigatori, avrebbe redatto gli atti della compravendita facendo una falsa perizia di stima nella quale si sosteneva che l’area valeva appena 10 mila euro, in modo da poter pagare in contanti e non rendere rintracciabile la cifra.
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