Debora Fabbretti batte il mostro dell’anoressia e si laurea: «Ora sono un’infermiera da 110 e lode»

Alla proclamazione la 24enne indossava il fiocchetto lilla: «Questa è la mia rinascita»

Debora Fabbretti batte il mostro dell’anoressia e si laurea: «Ora sono un’infermiera da 110 e lode»
Debora Fabbretti batte il mostro dell’anoressia e si laurea: «Ora sono un’infermiera da 110 e lode»
di Nicoletta Paciarotti
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Venerdì 26 Aprile 2024, 02:05 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 07:38

CASTELPLANIO A volte mandare giù anche un solo boccone di cibo può diventare una tortura. Debora Fabbretti lo sa, conosce bene quella sofferenza, il senso di vuoto e la voglia di scomparire; eppure, neanche nei momenti più bui, come il coma a 14 anni, ha mai smesso di lottare per la vita contro quel “mostro”, come lei lo definisce, che è l’anoressia e ora la sua laurea da 110 e lode in Infermieristica all’Università Politecnica delle Marche, ha il sapore della rinascita. «Guarire si può – dice la 24enne – costa fatica e tanto dolore, ma l’importante è saper chiedere aiuto».

L’incubo

La sua battaglia è iniziata quando era appena 14enne. «Mi vedevo affondare giorno dopo giorno, provavo un forte senso di smarrimento – racconta - ma la paura del cibo e l’ossessione per il peso, erano solo il sintomo che qualcosa dentro di me si era già rotto da tempo».

Dopo il primo ricovero all’ospedale di Torrette, cinque mesi più tardi nel reparto di neuropsichiatria del Salesi, il momento più duro. «Nonostante fossi alimentata dal sondino, il mio corpo stava diventando sempre più debole come schiacciato dal peso dell’anima. Un giorno, priva di forze, sono svenuta e battendo forte la testa a terra riportai un trauma cranico con emorragia interna. Allora fu la tempestività del chirurgo Trignani a salvarmi la vita, ma mi feci comunque 8 giorni di coma».

Fu un incubo, ma al suo risveglio si accorse che in lei qualcosa era cambiato e decisa a reagire, accettando il ricovero in una struttura specializzata, a Todi. «Avevo 16 anni e quel mostro mi stava svuotando, non potevo continuare così. A Todi ho conosciuto delle persone fantastiche, prima fra tutte la mia compagna di stanza, Michela. In ogni loro abbraccio, in ogni loro sorriso rinascevo e con me, lentamente, anche il mio corpo. È così che ho capito l’importanza del prendersi cura ed è così che per me, quella dell’infermiera, è diventata una missione».

Dopo il diploma, l’avvio agli studi universitari e di colpo, quando tutto sembrava andare per il verso giusto, di nuovo il buio e un anno fa, ormai 23enne, una terribile ricaduta. «È stato diverso. La consapevolezza ha reso più difficile, per me, accettare di finire nuovamente in una struttura, questa volta a villa Oasi, a San Marcello. Ma l’ho fatto pensando a mio fratello, a mia cognata e ai miei nipotini, all’amore che provo per loro».

La battaglia

Una lotta continua, tra se stessa e la malattia. Dopo qualche mese Debora sembra stare meglio e torna sui libri. «Decisi che la laurea, sarebbe stato il mio punto di svolta. Un traguardo che io e Michela avevamo tanto immaginato di raggiungere insieme. E invece lei ora è tra gli angeli, ha perso la sua battaglia contro il mostro. A lei dedico la mia tesi di laurea. A lei, e a chi lotta in silenzio». Debora si è laureata giovedì scorso in uno splendido tailleur lilla, il colore della lotta ai disturbi alimentari. Nella giacca, il fiocchetto simbolo. «Fu un’infermiera di villa Oasi a regalarmelo. Il giorno della mia proclamazione erano tutti lì, con me, anche gli operatori sanitari. È stato molto importante, perché vorrei che i miei compagni, vedessero con i loro occhi che rinascere si può». Lunedì scorso le dimissioni da Villa Oasi. «Da bruco, ora sono una bellissima farfalla». Quella che ha tatuato sulla pelle per ricordare a se stessa che potrà cadere ancora, l’importante è rialzarsi ogni volta.

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