I protocolli Esg e i criteri selettivi, lasciare fuori le Pmi è delittuoso

I protocolli Esg e i criteri selettivi, lasciare fuori le Pmi è delittuoso

di Pierluigi Bocchini
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Giovedì 16 Maggio 2024, 02:20

Ho ascoltato con estremo interesse la presentazione svolta dal Prof. Cucculelli relativamente al rapporto annuale sull’economia di Confindustria Marche e Intesa Sanpaolo ed ho letto con altrettanta attenzione il successivo approfondimento proposto dal Professore su queste colonne. È di tutta evidenza come il report abbia colto nel segno quando indica nei processi di digitalizzazione, ed in particolare nella transizione 4.0, uno dei drivers principali alla base della “capacità di reazione” delle imprese marchigiane ad un contesto geopolitico e macroeconomico in deterioramento. Condivido un po' meno l’assunto in base al quale l’aumento della sensibilità ai percorsi Esg abbia contribuito ad aumentare la competitività delle nostre imprese, in particolare sui contesti internazionali. Nonostante la grande attenzione che un numero sempre maggiore di imprese dimostra verso l’adozione di procedure e comportamenti Esg “complaiant”, ad oggi la stessa continua a rappresentare più un investimento che un fattore di competitività. Dei tre elementi chiave nella valutazione di ogni investimento che, lo ricordo, sono l’utilità attesa, la durata ed il rischio, un ruolo fondamentale verrà svolto dalla capacità che sapranno dimostrare i vertici della Ue nell’armonizzare le politiche industriali del nostro continente con quelle del resto del mondo, in particolare dei paesi asiatici. Il costo dell’energia in Europa è mediamente il più alto al mondo. Un’impresa cinese, a settembre del 2023 pagava mediamente 0,09 dollari per Kwh, la stessa impresa negli Usa circa 0,15, in Italia 0,58 (il costo più alto tra i 134 paesi rilevati da Global Petrol Prices).

Come conseguenza, le nostre imprese nella competizione internazionale hanno uno svantaggio competitivo in termini di costo dei fattori produttivi e in questo ambito, l’Italia è il Paese più penalizzato. L’energia rinnovabile costa molto più di quella di derivazione fossile e aver detto no al nucleare è stato un errore enorme. I dati 2021 indicano che Cina, Stati Uniti, India e Russia producono circa il 58% delle emissioni complessive di Co2 nel mondo.

L’Eu “solo” il 12,5%. La Cina, che rappresenta il 18,6% del Pil mondiale, produce un terzo delle emissioni di CO2 totali. L’Ue genera il 19,7% del PIL mondiale ed è scesa al 12,5% di CO2 immessa nel globo. Ridurre le emissioni ha un costo e fin quando le regole non saranno armonizzate a livello mondiale, le nostre imprese avranno sempre uno svantaggio competitivo nell’intraprendere il percorso di riduzione delle emissioni, mai un vantaggio. Il che non significa che non lo debbano fare, ma che andrebbero supportate con adeguate politiche industriali a livello continentale che non potranno più prescindere anche dall’introduzione di misure protettive nei confronti di quei paesi con rapporti emissioni su Pil più elevati. E qui vengo ad un secondo punto sul quale non mi trovo d’accordo con quanto letto, ovvero ai criteri di selettività che aprono il supporto delle politiche industriali di stimolo all’adozione di comportamenti virtuosi in materia ambientale. Se è vero che la “scala” dei players rappresenta uno dei fattori chiave per il successo dei percorsi Esg, è altrettanto vero che le imprese di dimensioni più rilevanti dispongono di norma anche di maggiori risorse da investire, oltre che di maggiori competenze.

In un contesto come quello italiano, e a maggior ragione in quello marchigiano, lasciar fuori dai radar delle politiche industriali a supporto dell’adozione di pratiche ESG progetti di green transition virtuosi solo perché adottati da imprese di piccole e medie dimensioni prefigurerebbe a mio avviso un errore imperdonabile, esponendo gran parte del nostro tessuto produttivo ad ulteriori svantaggi competitivi. Gli auspicati processi aggregativi finalizzati ad accrescere la dimensione media delle nostre imprese debbono essere innescati dalla ricerca di sinergie positive sul mercato e non dovrebbero essere influenzati da miopi politiche industriali di supporto selettivo, utili solo a favorire la dimensione dell’impresa piuttosto che la qualità dei progetti e delle idee imprenditoriali. 
*​Presidente
di Confindustria Ancona

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