Produzioni a bassa complessità, una svolta per evitare il declino

Produzioni a bassa complessità, una svolta per evitare il declino

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 15 Maggio 2024, 05:55

La politica di coesione è uno dei pilastri su cui poggia la costruzione europea. Lo scopo è quello di promuove lo sviluppo e riequilibrare le differenze di reddito pro-capite fra le regioni dell’UE. Alla politica di coesione sono destinate cifre rilevanti del bilancio europeo: 392 miliardi di Euro nel periodo di programmazione 2021-2027. La politica di coesione ha avuto un grande successo nel favorire lo sviluppo e l’integrazione dei paesi che nel tempo hanno aderito all’UE. Si è rivelata, invece, meno efficace nel favorire il dinamismo delle regioni meno sviluppate del sud Europa, in particolare quelle di Grecia, Spagna e Italia. L’insoddisfazione per i risultati della politica di coesione è cresciuta negli ultimi decenni a causa dell’accentuarsi delle differenze territoriali all’interno della UE.

Le conseguenze non sono solo economiche poiché nelle aree più svantaggiate sono più consistenti gli orientamenti politici contrari all’integrazione europea. In un recente rapporto per la Commissione UE alcuni economisti hanno evidenziato il fatto che molte regioni europee si trovano in una situazione di “trappola dello sviluppo”. Una regione è in questa situazione quando non riesce a mantenere un sufficiente dinamismo in termini di produttività e occupazione, ottenendo una performance inferiore alla media. Il concetto non fa quindi riferimento alle differenze in termini assoluti, quando alla evoluzione di alcuni parametri economici nel tempo.

A cadere nella trappola possono essere anche regioni sviluppate o a medio livello di sviluppo che nel tempo hanno perso la capacità di mantenersi dinamiche. Una situazione che si attaglia bene alle Marche che nell’ultimo ventennio hanno progressivamente perso forza propulsiva nella capacità di creare occupazione e reddito. Le Marche sono una regione ad alta densità manifatturiera ma in settori a bassa tecnologia. Questo comporta due problemi: da una parte le imprese subiscono la concorrenza dei paesi a più basso costo del lavoro; dall’altro queste produzioni sono poco attrattive per le persone, in particolare i giovani, con elevata qualificazione.

Non è un caso che nell’ultimo decennio le Marche evidenziano un saldo migratorio negativo di giovani laureati, sia verso le regioni del nord, sia verso l’estero.

Come uscire dalla trappola dello sviluppo è stato l’oggetto della Lezione di Economia Marche, la rivista promossa dalla Fondazione Aristide Merloni. La Lezione è stata tenuta ieri presso la Facoltà di Economia di Ancona dal prof. Ron Boschma della Utrecht University. Ron Boschma è uno studioso di fama mondiale, iniziatore dell’approccio evolutivo alle scienze regionali; un approccio adatto a comprendere i fattori che alla base delle trasformazioni strutturali a livello locale. Nella sua analisi delle regioni europee le Marche sono classificate fra quelle intrappolate in produzioni a bassa complessità.

Per queste regioni vi sono due strategie per uscire dalla trappola. La prima, meno rischiosa ma potenzialmente meno efficace, è quella di migliorare le attività esistenti agendo sui temi della sostenibilità e della digitalizzazione. L’altra, più rischiosa ma potenzialmente più efficace, è tentare di diversificare verso produzioni a maggiore complessità; è una strada che richiede investimenti nella formazione del capitale umano e nei fattori immateriali, primo fra tutti la ricerca e sviluppo.

Il successo non è scontato e può succedere che le risorse formate continuino a emigrare verso regioni più attrattive. Per aumentare le probabilità di successo occorre coordinare le azioni nella formazione, nella politica industriale e negli investimenti privati. È l’approccio alla base della strategia di specializzazione intelligente che suggerisce di concentrare i fondi di coesione in pochi ambiti promettenti.

Finora tutte le regioni hanno fatto difficoltà a concentrare risorse e hanno preferito utilizzare i fondi per sostenere le attività esistenti. È una politica comprensibile, viste le difficoltà che stanno attraversando le imprese e il minore rischio. La conseguenza è però di non affrontare il rischio maggiore, quello cioè di rimanere intrappolati in una prospettiva di basso sviluppo se non di declino.

*  Docente di Economia  all’Università Politecnica  delle Marche e  oordinatore
della Fondazione Merloni

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