Acciaio, le mosse del governo partono dalla crisi Ilva per rilanciare il settore. Ecco il piano siderurgico in 4 poli

Il ministro del Made in Italy lavora al piano nazionale

Acciaio, le mosse del governo partono dalla crisi Ilva per rilanciare il settore. Ecco il piano siderurgico in 4 poli
di Giusy Franzese
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Mercoledì 31 Gennaio 2024, 13:38 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 07:36

L'agenda dei colloqui del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, con i principali protagonisti della siderurgia nazionale e internazionale si arricchisce ogni settimana di nuovi appuntamenti.

C’è la spinosissima vicenda dell’ex Ilva di Taranto da risolvere, ma non solo. Il 2024 per il governo dovrà essere l’anno del varo del piano siderurgico nazionale. Il progetto è in via di definizione, l’intenzione è di presentarlo a giugno prossimo. Le linee base prevedono quattro poli, che di fatto percorrono tutta la Penisola: il Nord, con le tante imprese del settore che hanno portato l’Italia a conquistare il podio della produzione più green d’Europa; il Centro con il polo di Piombino e le acciaierie di Terni; il Sud con il salvataggio e il rilancio dell’ex Ilva di Taranto. I primi tasselli si stanno già incastrando: a cominciare da Piombino, dove a metà gennaio è stato sottoscritto il protocollo di intesa per un nuovo stabilimento con il gruppo italiano Danieli e quello ucraino Metinvest. Non è comunque un puzzle facile da comporre. Perché il settore - probabilmente il più strategico che ci sia per un sistema industriale che rappresenta la seconda manifattura europea dietro solo alla Germania - è tra quelli più interessato dalle sfide eco-sostenibili. L’acciaio green non è solo uno slogan, ma una vera e propria rivoluzione industriale.

Formalmente è una scelta europea, per alcuni “troppo avanti” rispetto agli standard di altre grande aree del mondo, con il rischio di perdere in competitività. Ma in realtà, più che una scelta è una necessità per fermare o quantomeno non aumentare i disastri provocati dal cambiamento climatico dovuto alle emissioni nocive.

LA DECARBONIZZAZIONE

L’Italia è già un pezzo avanti. C’è una parte consistente delle fabbriche italiane di acciaio, quelle situate nelle regioni del Nord, con impianti totalmente basati sulla tecnologia del forno elettrico. Per i grandi stabilimenti invece la strada è ancora lunga. E spesso la trasformazione green si intreccia con le probabilità di sopravvivenza. “Fare sistema” può essere la chiave di volta. Alla base di tutto una consapevolezza forse banale, ma che - come ha fatto il ministro Urso l’11 gennaio scorso in audizione in Senato - è bene ricordare: «L’Italia delle autostrade e delle auto, l’Italia della nautica e della cantieristica, l’Italia degli elettrodomestici, della meccanica, delle ferrovie, delle infrastrutture e delle costruzioni esiste in quanto può contare sulla sua importante e significativa filiera siderurgica». Insomma l’Italia, seconda in Europa e decima nel mondo per produzione siderurgica, non può fare a meno del suo acciaio. E deve cercare di non perderne pezzi per strada. Quanto questo sia importante lo stiamo vedendo con la vicenda dell’ex Ilva: il crollo di produzione dello stabilimento di Taranto (che la gestione del colosso franco indiano Arcelor Mittal ha portato al livello più basso di sempre) ha provocato un forte impatto negativo per il sistema manifatturiero italiano che ha dovuto aumentare gli approvvigionamenti di acciaio dall’estero, soprattutto extra Ue. I principali fornitori sono diventati i produttori di Paesi sempre più distanti, Vietnam, India, Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Indonesia, oltre che Cina ovviamente. Le conseguenze si sono fatte sentire sulle catene produttive e sull’organizzazione delle aziende che utilizzano l’acciaio: l’allungamento dei tempi di consegna del materiale, ad esempio, ha costretto molte aziende a maggiori scorte con necessità di disporre di più capitale circolante. Per non parlare dei rischi di blocchi improvvisi delle forniture dovuti a fattori geopolitici, come la guerra Russo-Ucraina, oppure i blocchi navali nel Mar Rosso.

IL PERCORSO

 Il piano siderurgico nazionale, come ha spiegato Urso, si articola «su quattro poli complementari, attraverso un progressivo percorso di rinnovamento, modernizzazione e specializzazione degli impianti esistenti». Secondo quanto esposto dal ministro, in questo contesto «Taranto dovrà riaffermare il ruolo di campione industriale con una filiera produttiva con l’intero ciclo dal minerale al prodotto finito». Chi gestirà lo stabilimento (socio pubblico, socio privato, commissario straordinario) e con quali risorse però è ancora tutto da vedere. Le decisioni saranno prese proprio in questi giorni. Terni rafforzerà la produzione di acciaio speciale: a questo fine è in dirittura di arrivo un contratto di programma. «Dovrebbe essere definito entro febbraio» ha detto Urso.

LE INTESE

A Piombino, la multinazionale italiana Danieli e il gruppo ucraino Metinvest costruiranno un nuovo stabilimento nei pressi della vecchia acciaieria Lucchini (ora degli indiani di Jsw) in parte dismessa: il protocollo di intesa per l’investimento di 2 miliardi è stato firmato a metà gennaio, entro 4 mesi arriverà l’accordo di programma. A breve sarà sottoscritto un altro protocollo di intesa tra Mimit e Jsw che - fa sapere il ministero - «individuerà tempistiche e procedure per consentire che nell’area siderurgica possano svilupparsi i due progetti produttivi». Piombino diventerà quindi un polo integrato con i vecchi impianti per la produzione di acciai lunghi, le cosiddette rotaie su cui sono specializzati i vecchi impianti di Jindal, e di acciai piani su cui è specializzata Metinvest. A regime si prevedono 3 milioni di tonnellate di acciaio e 1.500 lavoratori. Tassello importantissimo del piano di siderurgia sono poi le tante acciaierie del Nord, che con i loro impianti basati sui forni elettrici fanno da traino per la produzione nazionale di acciaio pulito. «Puntiamo al primato mondiale entro il 2030», ha detto il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi.

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