Il coronavirus, la grande paura delle epidemie che riscrivono la Storia

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Il coronavirus emerso dal cuore dell'Oriente ci sta offrendo un discutibile privilegio: assistere al nascere e al diffondersi di una epidemia. In forma accelerata però, come se di fronte ai nostri occhi scorressero fotogrammi che i nostri antenati videro svolgersi con lentezza. In pochi giorni siamo passati dalle prime voci sull'esistenza di un nuovo agente infettivo al tentativo di isolare comunità di decine di milioni di persone, alla segnalazione dell'esaurimento delle mascherine da porre a protezione di bocca e naso, a istituzioni compassatissime come il Politecnico di Zurigo che mettono in guardia i dipendenti da viaggi in estremo Oriente. E non siamo neppure lontanamente vicini, e speriamo di non arrivare mai, a una di quelle pandemie capaci di lasciare una cicatrice nella memoria collettiva. Inoltre, il pericolo posto dalle malattie infettive è qualcosa alla quale dovremmo essere abituati: una normale influenza si stima faccia ogni anno tra le 290.000 alle oltre 600.000 vittime. È un numero impressionante che tuttavia preoccupa così poco da indurre molti a non vaccinarsi. Ma l'influenza è considerata una vecchia conoscenza, di cui pensiamo di prevedere lo sviluppo. L'emergere di un morbo sconosciuto invece desta paure profondissime: è da quando la nostra specie ha memoria che si tramanda il ricordo di mali misteriosi, capaci di annientare intere comunità.