Val Gardena, da luogo di memoria a riparo per gli escursionisti

Rifugio Toni Demetz (fotocredit dolomitesvalgardena)
Rifugio Toni Demetz (fotocredit dolomitesvalgardena)
di Sabrina Quartieri
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Venerdì 17 Settembre 2021, 14:46

A vederla da fuori, la costruzione bianca in cima alla Forcella che si fa spazio tra i picchi rocciosi del Sassolungo, sembra voler rimanere nell’anonimato: per i passanti è solo un posto che offre da mangiare, mentre si ammira un bel panorama. La struttura, infatti, si presenta agli avventori con fare modesto, quasi telegrafico, raccontandosi con una breve scritta in rosso su una delle facciate, che riporta nome e altitudine del luogo: “Rifugio Toni Demetz. M. 2685”. Un biglietto da visita discreto, essenziale, che non lascia minimamente trapelare i fatti di valore accorsi oltre mezzo secolo fa e “responsabili” della nascita di questo ricovero per gli escursionisti. Si deve tutto a un episodio drammatico, ma che è anche l’incipit di una incredibile vicenda intrisa di risvolti umani di grande generosità, forza d’animo, coraggio e determinazione. 

 

Per apprenderla, è necessario entrare nel rifugio, sedersi a tavola e aprire il menu, un libro che passa in rassegna pietanze e bevande tipiche tirolesi. Sono le prime due pagine del volume a svelare la storia di questo riparo eretto a 2.685 metri di quota sulla Forcella del Sassolungo, la montagna simbolo della Val Gardena in Alto Adige: la cima tocca i 3.181 metri. Tutto ha inizio il 17 agosto 1952, quando un fulmine si abbatte sul Sassolungo, colpendo due escursionisti milanesi e la loro guida, il giovane Toni Demetz, appena 20enne e nativo di Santa Cristina, un paesino della valle ai piedi del maestoso massiccio dolomitico. Il primo a raggiungere il luogo dell’incidente è Giovanni Demetz, anch’egli una guida, e padre di Toni.

Lo sgomento è forte, quando si ritrova davanti al corpo esanime del suo primogenito. Ma la disperazione non lo ferma e riesce a portare in salvo uno dei due turisti che respira ancora. Solo in un secondo momento – aiutato dal Soccorso alpino – l’uomo risale a recuperare le spoglie di Toni, per dare loro la giusta sepoltura. 

L’evento tragico, giorno dopo giorno, consolida tra Giovanni e il Sassolungo un legame indissolubile, profondo. Un vincolo inossidabile che, in breve tempo, fa nascere nel padre di Toni il desiderio di edificare, proprio in quel posto così pieno di significato, un ricovero per gli escursionisti, un riparo certo dalle intemperie. Così, quando a dicembre 1952 Giovanni riceve dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi l’onorificenza del “Gran Ordine del Cardo”, approfitta dell’occasione ed esterna la sua volontà di realizzare il progetto in memoria del figlio scomparso. Trascorrono pochi mesi e dal Governo viene accordato il permesso di costruire un piccolo rifugio in cima alla Forcella del Sassolungo. I lavori partono nell’autunno del 1953 e l’inaugurazione della struttura – tirata su di pietra e legno, con una cucina e sei posti letto – arriva nel 1954. 

Per i successivi cinque anni, la famiglia di Giovanni affronta i ripidi pendii del Passo Sella con la sola forza delle braccia, per portare in cima viveri e attrezzature. Poi, nel 1959, viene aperto il primo impianto di risalita, che agevolerà notevolmente il trasporto, consentendo in seguito di ampliare la costruzione e migliorare i servizi offerti. In oltre mezzo secolo di attività, il riparo intitolato a Toni Demetz non ha mai smesso di portare avanti la sua missione: accogliere i rocciatori e non solo, che desiderano rifocillarsi, scaldarsi e trascorrere la notte al sicuro. A occuparsene, oggi, al posto di Giovanni che si è spento all’età di 91 anni (l’8 agosto 1994), è il suo ultimogenito, Enrico. Un titolare premuroso con gli ospiti e amorevole con chi l’ha preceduto: il 17 agosto di ogni anno non dimentica di riunire sulla Forcella del Sassolungo famiglia, amici e amanti della montagna, per onorare la messa all’aperto che lui stesso fa celebrare in ricordo di suo fratello Toni, suo papà Giovanni e di tutti gli escursionisti che hanno perso la vita tra le vette. 

Per chi conosce la storia del rifugio, incontrare il signor Enrico all’opera dietro il bancone con indosso il suo maglioncino tipico tirolese è un’emozione. Un sussulto che si aggiunge a quello che si prova nell’affacciarsi dalla panoramica terrazza del ricovero dedicato a Toni Demetz. Un balcone immerso nel regno “da brividi” degli scalatori, tutti intenti a conquistare le cime circostanti nel cuore delle Dolomiti, le montagne italiane Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ma non finisce qui. L’affaccio, infatti, dà su una inaspettata Città dei sassi d’alta quota: un paesino di pietre di varie forme e dimensioni, attraversato da uno scenografico sentiero, il Naturonda, che è legato alla curiosa leggenda alpina di “Gardeno e Selladilla”. I protagonisti sono un piccolo ma forte scalatore dalla chioma dorata e una principessa del regno dei giganti del Gruppo del Sella. La loro storia si apprende affrontando il percorso, che ospita dei pannelli dedicati.

La Città dei sassi del Nord si esplora dal Passo Sella inerpicandosi tra piccole rocce dolomitiche che, in tempi remoti, si sono staccate dal monumentale massiccio del Sassolungo. I blocchi più grandi, invece, danno vita a una articolata palestra a cielo aperto per l’arrampicata. Non lontano, un impianto piuttosto particolare consente di raggiungere il Rifugio Toni Demetz, sorvolando a ritmi lenti il dorso roccioso che lo precede. Si tratta della bidonvia Forcella Sassolungo: le sue cabine biposto lunghe e strette color crema hanno quasi 3 decenni di vita. Risalgono al 1992, anno in cui arrivano al Passo Sella per sostituire le precedenti, di sagoma simile ma gialle, e datate 1971. Tutto questo è documentato da alcune immagini storiche che si possono osservare appena prima dei tornelli. Soffermandosi a curiosare, si noteranno le foto delle primissime cabine, tutte aperte, dell’impianto originario: era il 1959 e il Rifugio Toni Demetz poteva contare, finalmente, sulle sue “braccia” meccaniche.

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