Perugia, infettata con l'epatite per una trasfusione: i figli risarciti con 450mila euro dopo 37 anni

La sede della Asl 1 a Perugia
La sede della Asl 1 a Perugia
di Luca Benedetti
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Mercoledì 1 Febbraio 2023, 06:30

PERUGIA Ci sono voluti 37 anni, ma alla fine i due figli di una donna abruzzese che nel 1986 aveva contratto, per una trasfusione, l’epatite C al vecchio policlinico di Monteluce, hanno ottenuto il risarcimento per il calvario della mamma.
Lo ha deciso la Corte d’Appello di Perugia con la sentenza numero 340/22 del 12 maggio dello scorso anno. Ci ha messo la ceralacca la Asl 1 che ha deliberato (atto 132 del dg Massimo Braganti preso ieri), di non continuare il braccio di ferro e di rinunciare al ricorso in Cassazione. Così per gli eredi della donna originaria della provincia di Teramo ci sarà la possibilità di incassare i 449.035,80 euro conteggiati dalla sentenza.
LA DECISIONE
La Corte d’Appello di Perugia, riformando la sentenza del 2017 del Tribunale, ha accolto il ricorso proposto dai due figli e dal marito (ora morto) della donna condannando in solido, la Usl Umbria 1, la Regione Umbria e il ministero della Salute, al risarcimento del danno non patrimoniale da invalidità transitoria e permanente e del danno da perdita del rapporto parentale, sofferto dalla donna abruzzese a favore degli eredi.
La vicenda, che rimbalza tra la malasanità e la giustizia lumaca, ha origine dalla somministrazione di emoderivati al vecchio Policlinico di Monteluce dove la donna era stata sottoposta dopo un trapianto di midollo osseo allogenico, dal metà giugno 1986 a fine settembre 1986 e di ricostituzione autologa post trapianto nell’ottobre dello stesso anno. Una somministrazione da cui, secondo la donna e la famiglia, assistiti dall’avvocato Vincenzo De Adducis, sarebbe derivata «una lesione dell’integrità psicofisica della paziente consistente nel contagio con virus Hcv».
LE RESPONSABILITÀ
In sostanza la sentenza di secondo grado ha ritenuto provata la responsabilità contrattuale dell’ Asl 1 in qualità di gestione liquidatoria della disciolta Unità Locale Socio Sanitaria 3 e della Regione Umbria, in solido tra loro, per il danno non patrimoniale da lesione del bene salute sofferto dalla paziente abruzzese in conseguenza delle trasfusioni infette, e attiva, “iure hereditatis”, dei figli nonché la responsabilità extracontrattuale del ministero della Salute, della Asl 1 in qualità di gestione liquidatoria della disciolta Unità Locale Socio Sanitaria n.3 e della Regione Umbria, in solido tra loro, per il danno non patrimoniale da cosiddetta perdita del rapporto parentale “iure proprio” sofferto dalla famiglia visto che la malattia contratta in corsia ha di fatto accorciato la vita della donna.
I giudici hanno, di fatto, certificato la grave negligenza dei medici del vecchio Policlinico che è consistita in pesanti omissioni. Infatti, nonostante le conoscenze scientifiche all’epoca già diffuse, non avevano controllato i donatori di sangue, cagionando l’infezione da epatite C.
È stato provato, al contrario di quanto certificato dal Ctu del primo grado, il nesso di causalità materiale fra l’inadempimento degli obblighi incombenti sulla struttura sanitaria in forza del contratto di assistenza sanitaria e l’evento di danno, cioè il contagio da virus Hcv.

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