New York, 2001. Il dottor Jacques Marescaux e il suo team di ricercatori aprono il sipario sul futuro della medicina, operando a distanza un paziente con il solo ausilio di un braccio robotico: è passata alla storia come “Operazione Lindbergh” e rappresenta il primo caso di tele-chirurgia al mondo.
A due decenni di distanza da quel primo, straordinario successo tecnologico, oggi siamo all’alba di quella che i ricercatori chiamano la tele-esistenza: una sinergia completa tra uomini e robot che consente ai primi di comandare a distanza un vero e proprio avatar fisico, percependone stimoli e sensazioni come se si trovassero fisicamente lì. A dare il via a questa nuova era della robotica sono stati i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che sono da poco riusciti a tele-operare il loro baby robot iCub a circa 300 km di distanza, dai laboratori di Genova fino al Padiglione Italia della 17ª Biennale di Venezia.
L’EVOLUZIONE
Il meccanismo è semplice: si indossa una tuta sensoriale chiamata “iFeel”, che traccia il nostro movimento corporeo per poi trasmetterlo al robot. Allo stesso tempo riceviamo dal robot il feedback aptico (cioè le sensazioni tattili) sotto forma di vibrazioni sulla tuta. Noi “sentiamo” tutto quello che sente iCub, mentre lo pilotiamo da remoto per manipolare oggetti e interagire (verbalmente e fisicamente) con i nostri interlocutori. E il prossimo obiettivo adesso è fare in modo che anche il robottino riesca a “percepirci”, trasmettendogli in digitale i nostri sensi. «Stiamo lavorando per inviare a iCub il battito cardiaco e la frequenza respiratoria dell’operatore», spiega Daniele Pucci, ricercatore capo della sezione Artificial Mechanical Intelligence dell’IIT. «Puntiamo all’integrazione sensoriale totale, un requisito essenziale per operare negli scenari più complessi».