Il piano della Newcleo: stop alle scorie, la centrale nucleare con il piombo va a ciclo continuo. Ecco come

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di Antonio Satta
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Mercoledì 15 Giugno 2022, 14:26 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 11:55

Creare centrali nucleari intrinsecamente sicure ed eliminare alla radice il problema delle scorie radioattive.

Sembrerebbe troppo bello per essere vero, ma Stefano Buono, fondatore e ceo di Newcleo giura che non solo è vero ma che entro la fine del decennio la sua società questo miracolo sarà in grado di produrlo in serie. Buono, del resto, ha già dimostrato di avere una certa dimestichezza con la realizzazione dei sogni.

Fisico nucleare e collaboratore del premio Nobel Carlo Rubbia fin dal 1994, nel 2002 decise che era il momento di lasciare la ricerca pura per trasformare le idee in prodotti, così costituì una sua prima società, la AAA (Advanced Accelerator Applications), con l’obiettivo di applicare nel campo della medicina nucleare un brevetto del Cern, alla cui realizzazione aveva anch’egli collaborato. Da qui nacque l’Fdg, diventato presto il farmaco più diffuso negli esami pet (positron emission tomography). Dalla stessa filiera qualche anno dopo arrivò pure il Lutathera, un farmaco che utilizza il lutezio 177, un isotopo che immesso per via endovenosa si attacca alle cellule tumorali rilasciando la sua carica radioattiva in un raggio di pochi millimetri. Al momento è la via più efficace per effettuare radioterapie su tumori neuroendocrini. La AAA, insomma, si è dimostrata un vero e proprio unicorno. Quotata al Nasdaq nel 2015 con un Ipo da 150 milioni, è stata rivenduta a Novartis nel 2018 per 3,9 miliardi di dollari. «Ma la vera misura del nostro successo» spiega Buono, «è l’aver fatto entrare la medicina nucleare nel mondo farmaceutico. È una rivoluzione, siamo passati dalla radioterapia tradizionale ad una nuova radioterapia metabolica, molto più precisa, meno impattante e in grado di raggiungere parti del corpo che prima era impossibile trattare e soprattutto, anche grazie a noi, il biotech nucleare è entrato a pieno titolo nell’industria farmaceutica, e questo significa che si investono in questo settore centinaia di milioni già nella fase di sviluppo dei prodotti».

LA FORMA PIÙ SICURA

Nelle intenzioni di Buono il modello che ha fatto la fortuna di AAA adesso può essere replicato con Newcleo, passando dal biotech alla produzione nucleare di energia, che del resto è il primo grande amore di Buono, convinto che anche le centrali tradizionali, alla prova dei fatti si siano dimostrate la forma più sicura di produzione d’energia. Dati alla mano, hanno fatto meno vittime di quelli causate da una fonte rinnovabile come l’idroelettrico, centinaia di migliaia di morti conseguenza del crollo delle dighe. Ora che l’evoluzione tecnologica, grazie ai reattori veloci, ha risolto gran parte dei problemi di sicurezza del passato, i rimanenti, secondo Buono, possono essere superati dall’utilizzo del piombo liquido, da lui studiato ai tempi del Cern. Rispetto ad altri sistemi di raffreddamento, come l’acqua, il sodio e i gas tipo l’elio, il piombo ha il grande vantaggio di fondere a 327 gradi ma di avere poi una temperatura di sublimazione decisamente molto più alta, per farlo passare dallo stato liquido a quello gassoso di gradi ce ne vogliono, infatti, circa 1750, questo significa che anche uno spegnimento improvviso della centrale, con relativo surriscaldamento del nucleo radioattivo, non determinerebbe mai le condizioni che portarono ai tre grandi incidenti che tutti ricordano (Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima).

In tutti quei casi l’acqua di raffreddamento si vaporizzò creando una nube di idrogeno che la struttura non riuscì a contenere. Con il piombo liquido, invece, l’aumento della temperatura del core porterebbe alla sua espansione naturale e allo spegnimento automatico, senza rotture e senza dispersione di radiazioni nell’ambiente. Una forma di sicurezza passiva che non avrebbe bisogno di intervento dell’uomo. E non è l’unico vantaggio di questa tecnologia. Le centrali nucleari di vecchia generazione funzionano per mezzo di reazioni di fissione a catena tra neutroni termici, detti anche neutroni lenti, che passando vicino a un atomo di uranio vengono da questo catturati generando plutonio, americio, curio, nettunio e altri elementi transuranici, cioè quelle scorie nucleari tanto care (nel caso del plutonio) ai costruttori di ordigni nucleari ma anche molto complicate da conservare, visto che restano radioattive per 300mila anni. Un vero incubo che potrebbe però essere fugato dai reattori veloci di quarta generazione, proprio quelli su cui punta Newcleo, in cui i neutroni non vengono catturati dall’atomo di uranio, ma lo spaccano generando energia e lo stesso fanno con il plutonio e con le altre scorie che possono quindi essere usate come combustibile.

LA MISCELA MOX

 Nel progetto di Newcleo le centrali saranno, infatti, alimentate da mox (mixed oxide fuel), una miscela di ossido di uranio naturale ed ossido di plutonio ricavato dalle scorie prodotte dalle centrali tradizionali. Quel che resterà al termine del processo saranno solo dei residui di fissione, la cui radioattività si dimezzerà in trent’anni per scomparire del tutto dopo 300. E non è finita, perché anche dai residui si potrà ricavare qualcosa, come l’estrazione di terre rare e di altri materiali preziosi. Insomma, è il concetto di riciclo che entra per la prima volta nell’energia nucleare e nel caso delle centrali a piombo potrebbe essere esteso anche al sistema di raffreddamento, visto che verrebbe riutilizzato pure il piombo delle batterie esauste (già oggi vanno smaltite ogni anno 8 milioni di tonnellate di piombo dalle batterie, una quantità da cui Newcleo potrebbe attingere con il graduale passaggio al litio).

Il piano industriale di Newcleo prevede la costruzione in Italia di un prototipo non nucleare per testare i vari componenti, mentre in Inghilterra e Francia, parallelamente alle procedure di licensing verranno costruiti i primi reattori sperimentali per avviare poi entro sette anni la produzione industriale di due tipologie di reattori: uno piccolo (3 metri per 5) da 30 MW, pensato soprattutto per lo shipping, in grado cioè di alimentare le grandi navi portacontainer o da crociera e un altro, modulare ma sempre di dimensioni ridotte, da 200 MW, che potrà funzionare da solo, per esempio in un impianto di cogenerazione o anche in linea con altri reattori, a seconda dell’esigenza di produzione d’energia. Un nuovo unicorno da vendere a peso d’oro? «Io, veramente, spero piuttosto di vendere le centrali e anche direttamente l’energia. Ci stiamo attrezzando», è la risposta di Buono.

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