Transizione digitale: sicurezza, reti e 5G, la sfida da 40 miliardi nelle mani di Colao

Transizione digitale: sicurezza, reti e 5G, la sfida da 40 miliardi nelle mani di Colao
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 17 Febbraio 2021, 11:02 - Ultimo aggiornamento: 23:24

La sfida è sempre la stessa: digitalizzare la Penisola. A differenza di quanto avvenuto negli ultimi trent’anni però, armi e combattenti questa volta potrebbero essere quelli cui il Paese ha sempre aspirato. Vittorio Colao, il manager globale chiamato dal premier Draghi al neonato ministero della Transizione digitale, per affrontare uno dei capitoli cruciali del Recovery Plan avrà infatti a disposizione almeno il 20% dei fondi destinati all’Italia. Vale a dire più di 40 miliardi di euro. Una cifra molto importante, comunque inferiore a quanto sprecato negli ultimi decenni, necessaria per colmare il gap che ci separa dal resto d’Europa, reso così evidente dalla pandemia. A Colao quindi il compito anzitutto di sbrogliare la matassa delle reti italiane. Ora, con la questione della doppia infrastruttura che va risolvendosi con gli accordi tra Tim, Cdp e OpenFiber (le incognite in verità sono ancora tante, ma sia pure con fatica l’iter ora sembra avviato), sul tavolo è rimasto soprattutto il dossier sulle aree interne del Paese. A ben vedere, se il Piano Bul (Banda ultra larga) sta dando i suoi frutti nelle aree bianche – al momento sono aperti 5.300 cantieri, di cui 1.700 completati – e la concorrenza ha fatto il resto nelle “aree nere” (sono le aree in cui saranno o sono presenti almeno due reti ultra broadband di diversi operatori), a rischiare di restare indietro ora sono le “aree grigie” (le aree in cui è già presente o sarà sviluppata nei prossimi anni la rete ultra broadband da parte di un singolo operatore privato). Ovvero quelle in cui risiede la fetta più ampia delle imprese italiane che, secondo le ultime proiezioni, vedranno una copertura di appena il 17% entro il 2022.

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LA CONNETTIVITÀ

C’è poi la questione del 5G e della sicurezza informatica.

La corsa alla connettività di quinta generazione, per quanto iniziata alla grande dall’Italia con una ricca asta delle frequenze, è stata frenata prima che dalla pandemia da un’ondata di fake news messe in circolo in sintonia con le pressioni contro la Cina dall’amministrazione Trump. Ripartire anche in questo caso è fondamentale. L’applicazione di questa tecnologia, quantomeno a livello industriale, è un tassello da cui non può prescindere un Paese con grandi ambizioni nell’industria 4.0. Questo però passa inevitabilmente per la questione della sicurezza in cui l’Europa, neanche a dirlo, ha assunto posizioni diverse. Al governo Draghi il compito di trovare una sintesi tra di esse per poter giocare un ruolo se non cruciale quantomeno non marginale ad esempio nella sfida globale su Huawei tra Cina e Stati Uniti. A Colao il compito di spianare la strada, rendendo tutto ciò più agevole, magari muovendosi subito per semplificare la normativa sul perimetro di sicurezza cibernetica. Altro capitolo sul quale è necessario lavorare con la massima celerità è quello della sovranità digitale. Realizzare un’infrastruttura di archiviazione cloud interamente italiana, o quantomeno europea, che allontani dalle nostre informazioni le ombre lunghe dei cybercriminali internazionali, è ormai diventato un imperativo. I gruppi Leonardo e Aruba ci stanno provando, cercando di salire sul treno franco-tedesco dell’operazione Gaia-X (un cloud europeo appunto), ma la sfida sarà anche agganciare al convoglio in corsa la Pubblica amministrazione italiana. Nonostante innovazioni come lo Spid (che però conta ancora solo 17 milioni di utenti), la nostra Pa è incapace di comunicare con se stessa perché poggia interamente su infrastrutture separate. Il risultato è che ci sono 11mila datacenter per 22mila uffici della Pa. Una follia.

L’ALFABETIZZAZIONE

Il nodo cardine però, quello più importante da sciogliere, è la definitiva alfabetizzazione digitale del Paese. A tutti i livelli e a tutte le età – tanto per gli studenti, quanto per i lavoratori pubblici o privati – l’Italia è agli ultimi posti delle classifiche europee in termini di competenze digitali. È un tema, questo, sul quale si è speso lo stesso Draghi durante la prima riunione del Consiglio dei ministri: l’auspicio è che il suo invito a fare presto non si infranga contro la visione corta che tuttora abbonda nelle amministrazioni periferiche.

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