L'economista Sandro Trento: «Gli algoritmi potrebbero sostituire 7 milioni di lavoratori: si salveranno chef e avvocati»

L'economista Sandro Trento: «Gli algoritmi potrebbero sostituire 7 milioni di lavoratori: si salveranno chef e avvocati»
di Paolo Travisi
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Mercoledì 15 Dicembre 2021, 12:36 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 11:12

Robot e macchine intelligenti potrebbero sostituire fino a 7 milioni di lavoratori in Italia. A rivelarlo è il primo studio italiano realizzato dal Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, che ha analizzato l’impatto dell’automazione e della tecnologia sulle 800 professioni censite dall’Istat, il totale del comparto lavorativo.

Sandro Trento, docente di economia, lei è uno dei relatori dello studio. Come si è svolto?

«Esistono due approcci. Il primo che fa riferimento alle occupazioni, compie una stima su quanto sia probabile che queste siano sostituite dalle macchine; l’altro prende in esame le mansioni. Per semplificare, il primo sostiene che il cassiere del supermercato sarà sostituito, il secondo che alcune sue mansioni saranno svolte dalla macchina».

E come determinare quali lavori saranno automatizzati?

«Le mansioni routinarie sono facilmente rimpiazzabili, mentre quelle in cui sono necessarie intelligenza manipolativa, creativa e sociale sono meno sostituibili. Quei lavori in cui bisogna avere la percezione di un oggetto, identificare esteticamente ciò che si sta manipolando e pensare in modo creativo per risolvere dei problemi sono a basso rischio di automazione. Pensiamo al lavoro che svolge il cuoco: non c’è una macchina che può assaggiare il cibo. E ancora, alle attività in cui bisogna prendersi cura delle persone, come infermieri e badanti. O infine risolvere controversie, gli avvocati».

Cosa è emerso dallo studio?

«Abbiamo stimato che l’automazione potrebbe portare alla sostituzione di un minimo di 4 ad un massimo di 7 milioni di posti di lavoro, il 18% e 33% dei lavoratori».

C’è differenza di occupazione tra uomini e donne?

«Gli uomini corrono più rischi, perché le donne sono occupate in settori come la cura della persona, l’insegnamento e il manifatturiero, ma più nell’agroalimentare e meno nella produzione, in cui il rischio è molto basso ed oscilla tra un milione e mezzo e due milioni, cioè tra il 16 e il 25%».

Si tratta di una stima teorica. La realtà?

«La situazione italiana è diversa da quella europea ed americana, perché l’85% di imprese sono di piccole dimensioni con meno di 10 dipendenti; questo riduce la possibilità di automazione, perché sono le aziende grandi ad investire di più in tecnologia.

Ma la previsione potrebbe anche non verificarsi proprio per la peculiarità della nostra economia».

Quindi l’Italia è salva?

«Non del tutto, perché siamo indietro tecnologicamente rispetto ad altri Paesi, come l’America; l’ondata tecnologica sta arrivando e la trasformazione potrebbe verificarsi entro il 2030».

Rischiano di più i lavoratori a maggiore o minore qualificazione?

«La polarizzazione tra alto e basso rischio di automazione non sempre è collegata al titolo di studio. Cameriere, parrucchiere, idraulico a medio-bassa qualificazione sono a minor rischio rispetto ai contabili perché le mansioni dei secondi sono gestibili da algoritmi. Anche i lavori creativi rischiano poco, ma studiare non basta più, serve una formazione permanente che tenga conto della tecnologia robotica».

La soluzione ad una disoccupazione crescente?

«La disoccupazione tecnologica è sempre legata ad un mancato sviluppo del sistema formativo. Ma il problema è la velocità dei due processi, se la distruzione dei posti è più veloce della formazione, difficile riconvertire l’occupazione». 

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