Nel mondo dell’arte c’è un nervo scoperto, un’insofferenza che cresce man mano che i programmi basati su AI generativa diventano più credibili e più “simili” a noi.
Ne ha avuto un assaggio Ammaar Reshi, design manager della Bay Area che a dicembre ha tentato un’escursione nel mondo dell’editoria pubblicando un libro di fiabe per bambini (“Alice and Sparkle”) interamente scritto e illustrato da due programmi AI, rispettivamente ChatGPT per i testi e Midjourney per i disegni.
L’ESEMPIO DI NICK CAVE
A riguardo, il noto cantautore australiano Nick Cave ha le idee chiare. Dopo aver raggelato in maniera lapidaria l’entusiasmo di un fan che gli proponeva un testo scritto in “stile Cave” da ChatGPT, l’artista ha chiarito come sia proprio questo «l’orrore emergente di questa tecnologia: sarà per sempre agli inizi, avrà sempre qualcosa da imparare e la sua direzione sarà sempre in avanti», una direzione infinita come infinita è la capacità dell’AI di apprendere e rimodellarsi intorno all’essere umano, senza però mai diventarne uno. Un mimetismo che, secondo Cave, nulla avrebbe a che spartire con il processo creativo. Che, specialmente in musica, rappresenta invece «un atto di suicidio che distrugge tutto ciò che si è prodotto in passato. Un suicidio che nasce dalla sofferenza, ma l’AI non soffre» ed è per questo che, spiega il cantautore, sarà per sempre destinata a riprodurre «caricature grottesche di ciò che significa essere umani», condannata a «non avere limiti e incapace perciò di superarli, come fa invece l’artista ogni volta che è alle prese con un’idea nuova».
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