Fusione nucleare, l'energia pulita che l'Italia “regala” alla Francia: al via la progettazione della centrale Demo

Fusione nucleare, l'energia pulita che l'Italia “regala” alla Francia: al via la progettazione della centrale Demo
di Antonio Satta
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Mercoledì 20 Luglio 2022, 12:39 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 07:26

Il paradosso del nucleare italiano: la produzione di energia è vietata per legge, o meglio per volontà popolare in forza di ben due referendum (1987 e 2011), ma il Paese mantiene una tradizione scientifica tanto forte da mettere tuttora l’Italia ai primi posti mondiali nella ricerca.

Solo poche settimane fa, infatti, il Consorzio EUROfusion ha annunciato l’avvio della progettazione ingegneristica di Demo, la prima centrale dimostrativa a fusione che intorno alla metà del secolo sarà in grado di produrre, in modo sicuro e sostenibile, 300-500 MW di potenza. Tanto per capire è la quantità di energia in grado di soddisfare i consumi annuali di circa un milione e mezzo di famiglie. La compagine italiana è costituita da 21 organizzazioni (pubbliche e private) coordinate da ENEA - tra cui l’Istituto per la scienza e tecnologia dei plasmi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istp) e il Consorzio RFX - e si muove nell’ambito del Consorzio EUROfusion, il programma europeo di ricerca sulla fusione cofinanziato dalla Commissione europea tramite Euratom.

IL PROGRAMMA

L’avvio di Demo è un successo enorme per la ricerca italiana, perché questo progetto rappresenterà il passaggio successivo del programma avviato con l’impianto sperimentale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), attualmente in costruzione nel sud della Francia, a Cadarache, a tutt’oggi il maggior progetto internazionale sulla fusione, realizzato nell’ambito di una collaborazione tra le sette maggiori potenze economiche (Unione Europea, Cina, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti). Nella realizzazione di ITER le industrie e gli istituti di ricerca italiani hanno un ruolo importante: ad oggi sono previsti investimenti per 20 miliardi di euro (2 dei quali assegnati attraverso gare internazionali ad aziende italiane). L’obiettivo è di dimostrare la fattibilità della produzione di energia da fusione e progredire nei tempi più brevi possibili verso il primo reattore dimostrativo, appunto il già citato Demo. «Un passaggio fondamentale dalla sperimentazione pura alla produzione vera e propria di energia», spiega Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento ENEA di Fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare, aggiungendo che la realizzazione di Demo è prevista per la seconda metà del secolo, completate tutte le complesse fasi di commissioning. Quella che sarà realizzata dopo il 2050 «sarà una centrale vera e propria, che si potrà cioè connettere alla rete elettrica per produrre energia in modo sicuro, con pochissime scorie radioattive (la quantità e la tipologia di rifiuti radioattivi prodotti da una centrale a fusione sono analoghe a quelle che producono in Italia i settori biomedicale, industria e ricerca e sviluppo, ndr), e soprattutto utilizzerà un combustibile sostanzialmente illimitato e gratuito.

Per alimentare il processo di fusione, infatti, non serviranno materiali rari e costosi come uranio e plutonio, ma basteranno pochi chili d’acqua». Demo, insomma, è il secondo stadio di un missile già partito con l’impianto Iter, che nei prossimi venti anni dovrebbe risolvere tutti i problemi che rendono attualmente inefficiente la fusione nucleare. Oggi, infatti, le macchine a fusione che si utilizzano nella ricerca, richiedono più energia di quanta se ne produce, ma si prevede che nel giro di due decenni l’impianto francese riuscirà a produrre 10 volte l’energia necessaria ad accendere e mantenere in funzione la centrale. Nel frattempo il progetto Demo affronterà altri problemi tecnologici tuttora irrisolti, il principale dei quali è il controllo del plasma d’idrogeno, che va riscaldato a temperature superiori a quelle del sole per annullare la repulsione di tipo elettrico che tiene lontane le particelle e permettere ai nuclei degli atomi di idrogeno di fondersi formando un elemento più pesante, l’elio. Per il controllo del plasma, però, servono potentissimi campi magnetici che mantengano il plasma in sospensione nella camera di combustione senza contatto con le pareti, che inevitabilmente lo raffredderebbe e al momento non sono disponibili tecnologie e materiali adatti. Problemi, questi, che dovrebbero essere superati grazie a un altro progetto in fase avanzata di realizzazione, il super laboratorio Divertor Tokamak Test (DTT) che Enea e i suoi partner stanno realizzando presso il Centro Ricerche di Frascati, grazie a un programma da 600 milioni di investimenti (di cui 250 di prestito della BEI che lo ha inserito tra i Progetti strategici). «Qui saranno testate - precisa Dodaro - tutte le configurazioni e anche i materiali per realizzare il divertore, ossia il dispositivo che servirà a smaltire il calore residuo all’interno del reattore a fusione con flussi di potenza superiori a 10 milioni di Watt per metro quadrato».

I PROTOTIPI

 La fusione, però, non è l’unico orizzonte su cui è impegnata Enea in campo nucleare, i suoi scienziati sono attivissimi anche nello studio e la realizzazione di prototipi di centrali a fissione di quarta generazione, quelle costituite da reattori veloci raffreddati a piombo (Generation IV – Lead-cooled Fast Reactor - LFR) un nucleare sostenibile (perché utilizza come combustibile uranio naturale, che può essere riutilizzato, riducendo quasi a zero la produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita, le cosiddette scorie) ed è anche più sicuro e affidabile, perché uno spegnimento imprevisto dell’impianto non comporterebbe la vaporizzazione dell’acqua di raffreddamento ma il progressivo raffreddamento del nucleo con il contenimento della sua radioattività grazie allo schermo del piombo. «La ricerca ha importanti ricadute su altri campi - conclude l’ingegnere Dodaro - dai superconduttori alle tecnologie elettromedicali, nel centro ENEA di Brasimone si lavora ai radiofarmaci». 

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