Chiesa ed energia nucleare. Il cardinale Michael Czerny: «Il Vaticano condanna l'uso bellico ma guarda a quello civile senza pregiudizi»

Chiesa ed energia nucleare. Il cardinale Michael Czerny: «Il Vaticano condanna l'uso bellico ma guarda a quello civile senza pregiudizi»
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 19 Ottobre 2022, 12:23 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 18:55

Centrali nucleari per far fronte alla crisi energetica? A certe condizioni, sì.

Il Vaticano in materia è decisamente aperturista. In queste settimane che la grande questione dell’energia atomica per scopi civili è diventata di interesse mondiale, il cardinale Michael Czerny, capo del Dicastero sullo Sviluppo Integrale e sostenitore della forte spinta ecologica contenuta nella enciclica Laudato si’, uno dei principali collaboratori di Papa Francesco sul fronte ambientale chiarisce il quadro di riferimento per il futuro: «La Santa Sede ha sempre guardato all’uso civile della tecnologia nucleare senza pregiudizi o schemi ideologici, tenendo come punto di riferimento le discussioni sull’integrità della persona e sul suo sviluppo integrale».

La Chiesa condanna il nucleare a scopi bellici, ma come valuta il nucleare pulito e sicuro, quello che dovrebbe uscire dalle centrali di ultima generazione?

«La condanna della Santa Sede verso il nucleare a scopi bellici è chiara e ben radicata nella dottrina sociale a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII fino a Papa Francesco, che si è spinto a denunciare come immorale anche il mero possesso di tali armi.

Sull’uso civile occorre tenere presente l’aspetto centrale che è quello relativo alla sicurezza, che va continuamente ricercata e migliorata a vari livelli. Se con l’espressione nucleare pulito e sicuro ci riferiamo al cosiddetto nucleare civile, occorre distinguere fra tecnologia nucleare, per esempio nel campo medico, ed energia nucleare, sulla quale è oggi necessaria una riflessione sui rischi ma anche sui benefici ambientali, sanitari, economici».

In passato sull’energia atomica per scopi civili si era però registrata la voce dei vescovi del Giappone che chiedevano la formulazione di una sorta di anatema dopo il disastro di Fukushima, causato dal terremoto e dal conseguente maremoto.

«La Chiesa propone alcuni criteri di riflessione: la centralità della persona umana, il bene comune, la destinazione universale dei beni sulla terra, la solidarietà, anche nei confronti delle generazioni future».

La guerra in Ucraina ha incentivato nuovamente le centrali a carbone e certamente questo non è un buon segnale per la salute del nostro pianeta. C’è il timore di non arrivare a raggiungere gli obiettivi indicati dalla Cop27 per contenere i livelli di C02 nell’atmosfera.

«La guerra ha messo l’Europa di fronte al costo reale del nostro stile di vita e delle nuove tecnologie necessarie per la transizione ecologica. Il ritorno all’uso del carbone, con la riapertura di centrali chiuse da tempo, è un segnale dell’attuale difficoltà dei governi. E non possiamo condannare a priori alcune scelte in cui la società civile si muove, soprattutto per tutelare i più fragili. Il tema energetico, che è globale, può essere risolto solo attraverso un approccio realmente “integrale”. Transizione ecologica, cambiamento climatico, pace internazionale vanno affrontati insieme. Senza collaborazione, ogni soluzione locale sarà solo un palliativo che non risolve nulla».

Siamo dunque a un punto di nuovo fermo?

«Non si può più tacere il debito ecologico delle nazioni ricche verso le nazioni povere, che subiscono gli effetti dell’industrializzazione senza averne preso parte e beneficiato. Su questo il Papa, anche in occasione della Giornata per la Cura del Creato, ha richiesto ai Paesi più ricchi di compiere “passi più ambiziosi”. Il fallimento di tanti vertici è imputabile a quella che Francesco definisce nella Laudato si’ la “debolezza delle reazioni” della politica internazionale. Ma non possiamo aspettare sempre il prossimo vertice internazionale per sperare di risolvere i problemi. La terra brucia oggi, ed è oggi che dobbiamo cambiare, a tutti i livelli. È una chiamata alla corresponsabilità: già così lasceremo ai nostri figli un mondo peggiore di prima. Loro hanno diritto di non subire tutto questo».

Come immagina il mondo post-pandemia e post-guerra? Ci sarà spazio per una più veloce transizione energetica su fonti pulite oppure no?

«La velocità della transizione può non essere determinata direttamente dalla guerra, così come il Covid non ha di per sé accelerato la transizione. La questione energetica ha un costo per la società che ricade sul versante economico, ma ha anche grossi impatti sociali. Poi ci sono i costi elevati in termini di materie prime utilizzate dalle tecnologie. È richiesta da parte di tutti l’introduzione di buone pratiche, nonché un cambio di mentalità riguardo l’uso delle risorse affinché possiamo fronteggiare la cultura dello scarto che caratterizza il tempo in cui viviamo. Dobbiamo cioè rivedere il nostro sistema produttivo e capire come esso influisca sulla nostra visione di sviluppo e di rispetto del creato, guardando soprattutto a coloro che sono più danneggiati, direttamente o indirettamente».

Cosa sta facendo il Vaticano per la grande incognita energetica di quest’inverno, per aiutare le comunità religiose e le parrocchie in difficoltà?

«Ci sono progetti specifici a livello locale che stiamo cercando di accompagnare e promuovere. Uno è il progetto “Lucensis” che si sta portando avanti con la Cei per avviare percorsi di azzeramento dell’impatto ambientale delle strutture e delle attività parrocchiali e diocesane. L’idea è sviluppare delle cooperative di comunità, partendo proprio dalle comunità energetiche. Abbiamo in rete la Piattaforma Laudato sì, coordinata dal Dicastero: è uno strumento di accompagnamento di percorsi trasformativi per la cura della casa comune. E poi l’Economy of Francesco, dove sono impegnati giovani economisti, imprenditori e change-makers. Infine iniziative energetiche e di sviluppo economico integrale delle diocesi. Direi che non stiamo con le mani in mano».

Quale è il bilancio sulla Laudato si’ a 7 anni dalla sua pubblicazione?

«Ha contribuito in modo significativo alla presa di coscienza di recuperare il valore della “cura” per la nostra casa comune. Ci ha fatto riflettere sul legame profondo tra ambiente, che è casa e fonte di vita per tutti coloro che lo abitano, su cui si fonda il concetto stesso di “ecologia integrale”. È un testo apprezzato e studiato non solo nel mondo cristiano, ma anche all’interno della comunità scientifica ed in contesti ecumenici di dialogo. Ci sono il riconoscimento e la valorizzazione dell’interconnessione esistente fra la sfera economica, sociale, ambientale, etica e spirituale. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale».

È iniziata la rivoluzione dal basso per imparare a proteggere il pianeta?

 «Ci sono tante realtà che si stanno muovendo: le conferenze episcopali hanno uffici interni dedicati alla ecologia integrale, le diocesi, le università, le scuole cattoliche. La piattaforma di iniziative Laudato si’ contiene anche best practices e tutti coloro che si iscrivono – in tutto il mondo – possono agire e prevedere un cammino di sette anni. A questo si aggiungono le associazioni, i movimenti popolari, le organizzazioni della società civile. Direi che la nostra macchina è stata avviata bene».

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