L'architetta Lorenza Baroncelli: «Guarda al Sud la nuova dimensione dell'abitare»

La presidente del Dipartimento Architettura del Maxxi: le crisi che stiamo attraversando, dalla guerra alla siccità, definiscono idee innovative di città

L'architetta Lorenza Baroncelli: «Guarda al Sud la nuova dimensione dell'abitare»
di Valeria Arnaldi
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Mercoledì 19 Aprile 2023, 12:45 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 07:41

Sguardi al nuovo, da indagare e celebrare, ma anche riletture della storia per accendere i riflettori sui molti nomi, specie femminili, che sono stati dimenticati.

Nel mezzo, un orizzonte urbano da ripensare per spazi, volumi, materiali. Sono tante le sfide con le quali sono chiamati a confrontarsi architettura e design, a seguito di pandemia, guerra in Ucraina e crisi energetica. Ne parliamo con Lorenza Baroncelli, romana, classe 1981, da febbraio scorso – e per tre anni - nuovo Direttore del Dipartimento Architettura del Maxxi, a Roma. Subentrata a Margherita Guccione, Baroncelli, Visiting professor al Politecnico di Vienna, dal 2018 al 2022 è stata Direttore artistico della Triennale di Milano e, negli anni, ha collaborato con più istituzioni in Italia e all’estero. È stata inoltre, prima in Italia, Assessore alla rigenerazione urbana a Mantova.

Come vive il ritorno a Roma?

«Le esperienze più importanti le ho fatte a Milano e in Colombia con Giancarlo Mazzanti, che negli anni ’90, ha segnato l’origine della rigenerazione urbana. Tornare a Roma era il mio sogno per due motivi. Ero incinta, ora il bimbo ha dieci mesi, e il mio compagno (Pierluigi Pardo, ndr) è romano, volevo stare accanto a lui. E desideravo rimettere la mia intelligenza, le mie capacità e le competenze al servizio della città. Si parla di quanti si formano in Italia e poi vanno all’estero. Il mio iter è inverso».

Cosa dobbiamo attenderci da Maxxi Architettura, dunque?

«In questi anni sono state effettuate acquisizioni di grandi archivi del Novecento. Ora si deve pensare al XXI secolo e agli archivi digitali di architetti viventi. La prima mostra, a novembre, sarà su Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Il mandato del presidente Alessandro Giuli è guardare anche al design e al Sud».

Come vede il futuro dell’architettura nel nostro Paese?

«Un tempo le grandi opere erano strumenti di democratizzazione. Si pensi agli edifici residenziali costruiti dopo la guerra o all’Autostrada del Sole. È necessario che oggi in Italia si torni a ragionare su architettura e trasformazione della città come elementi positivi. Il Pnrr offrirà varie occasioni».

A Roma, gli annunci architettonici più recenti riguardano hotel, dunque il privato.

«Bisogna cambiare gli equilibri, perché il pubblico torni a imporsi.

Milano, grazie all’Expo, è stata l’unica città italiana a realizzare nuovi edifici. Certo, fa pensare che la maggior parte sia stata firmata da architetti stranieri».

C’è bisogno di allontanarsi dagli archistar?

«La fase della grande architettura c’è stata e c’è ancora nel mondo. La Biennale di Venezia, con grande attenzione verso l’Africa, ci illustrerà esperienze forse anonime ma cardine di importanti trasformazioni. La pandemia e la guerra in Ucraina stanno ridisegnando la geopolitica internazionale. Ora si deve guardare al Sud, al Mediterraneo».

E quali istanze e tendenze arrivano dal Sud?

«L’idea di un’architettura meno muscolare, senza archistar che calano dall’alto progetti di grattacieli uguali in tutto il mondo. Si torna ad un’architettura di ricucitura come direbbe Renzo Piano, fatta di infrastrutture, anche digitali, e più di piccoli interventi che di grandi edifici».

Come sta cambiando la visione dell’abitare?

«Pandemia, guerra, crisi energetica e la carenza di acqua che ci attende stanno definendo nuove idee di abitare la città. L’illuminazione è incentrata sui negozi, aperti fino a tardi perché chi lavora possa fare la spesa a fine giornata. Lo smart working, però, ha mutato i nostri ritmi e, con la carenza di energia, ciò si rifletterà sull’illuminazione, con cambi di orari e “luci”».

Non è un rischio per la sicurezza?

«Certo. I centri storici più turistici saranno illuminati “da cartolina” diciamo, le zone ricche avranno luci smart che si accendono al passaggio, temo che le periferie più disagiate resteranno al buio. Architettura e politica dovranno confrontarsi con tutto ciò. C’è anche un problema green. La carenza di acqua renderà difficile prendersi cura delle piante pure nelle aree urbane, forse non potranno essere annaffiate. Questo però implicherà un modo diverso di vivere lo spazio cittadino e perfino di camminare nelle vie, basta pensare alle alte temperature e alle ombreggiature».

Altro tema sono i materiali.

«Le architetture del passato erano in pietra, durature e adattabili. Quelle del XX secolo sono in vetro e acciaio: destinate a morire e difficilmente riconvertibili, saranno buchi neri nelle città del futuro. Per questo si fa ricerca. Nel design, dove sono stati fatti più passi avanti, si studia come trasformare alghe infestanti in materiali tessili e non solo».

Che ruolo c’è per le donne nell’architettura?

«Nel nostro Paese, le uniche che sono riuscite ad affermarsi ad alto livello sono state Gae Aulenti e Cini Boeri. Forse ora le cose stanno cambiando, ci sono nomi interessanti, come Matilde Cassani e Nina Artioli. E ci sono figure da riscoprire nella storia, anche come esempi per le nuove generazioni».

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