Sinner: «Se vinco gli Internazionali faccio festa al Colosseo»

Sinner: «Se vinco gli Internazionali faccio festa al Colosseo»
Sinner: «Se vinco gli Internazionali faccio festa al Colosseo»
di Piero Valesio
4 Minuti di Lettura
Lunedì 10 Maggio 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 10:06

Non dite a Jannik Sinner che Maria Sharapova (che con lui si è allenata per un paio di mesi prima di ritirarsi) al Colosseo non solo ci è entrata: ma ha pure preso una racchetta e scagliato una pallina amichevole verso qualche turista che passeggiava più in alto, suscitando un attacco di bile nei rappresentanti della Sovrintendenza ai Monumenti romani. Jannik invece l’Anfiteatro Flavio l’ha visto solo in cartolina. Chi dedica la sua vita al tennis ha poco tempo per fare il turista.
Jannik, benvenuto a Roma.
«Grazie. Questo non è un posto come un altro».
Lo dice da cittadino o da tennista?
«Soprattutto da tennista. Giocare a Roma vuol dire provare qualcosa di unico al mondo».
Ad esempio?
«Il posto dove siamo. La gente che c’è che si schiera della tua parte e che tu senti vicino. L’aria che si respira. Tutto».
Lei vive e si allena fra Bordighera e Montecarlo.
«Ma lì mi alleno e ci vado a dormire. Qui è un’altra cosa, è tutto italiano. Mi dispiace solo non conoscere bene la città».
Se potesse concedersi una passeggiata rilassante cosa vorrebbe vedere per prima cosa?
«Il Colosseo, non ci sono mai stato. Da ragazzo non venivo mai a Roma. Vivevo con i miei genitori in Pusteria e studiavo a Bolzano. Poi mi sono trasferito da Riccardo (Piatti ndr) a Bordighera. E la mia applicazione sul tennis è ancora aumentata».
Il Colosseo è lo stadio più famoso al mondo. Che ne dice dell’idea di festeggiare lì una vittoria al Foro Italico?
«Non sarebbe male come idea. Ma io sono un lavoro in corso vivente. Sto studiando per diventare un numero 1. E vincere a Roma vuol dire esserci riuscito o quasi...».

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A proposito di studi: come andiamo con i libri?
«Mi manca un anno per sostenere l’esame di maturità. L’obiettivo era entrare a Economia. Anche quando ero già a Bordighera appena potevo tornavo a Bolzano per andare a scuola. Ma poi il tennis ha preso una piega diciamo positiva: e allora lo studio si è fermato. Ma un anno potrò recuperarlo in qualunque momento».
Ma quando è a Bordighera per quante ore al giorno lavora?
«Diciamo cinque o sei. Con Dalibor Sirola curiamo la preparazione fisica sia al mattino sia al pomeriggio. Poi stiamo in campo. Ma dipende anche da quanto manca al torneo successivo. I carichi di lavoro cambiano».
E poi c’è Riccardo Piatti che le parla di tennis.
«Sempre. Il nostro è un dialogare continuo. È come se mi guidasse lui fra le esperienze che ha fatto, gli atleti che ha conosciuto e che ha allenato. Mi trasmette le sue conoscenze».
Da piccolo aveva il poster di un tennista appeso in camera?
«Assolutamente no. Avrei voluto appenderci quello di uno sciatore ma, non ricordo più perché, non l’ho fatto».
E chi era quello sciatore?
«Bode Miller».
Non esattamente uno pacato come invece pare essere lei.
«Un campionissimo. E poi io sono un ragazzo normale: e quando mi arrabbio mi arrabbio».
In effetti contro Popyrin a Madrid era arrabbiato. Si è visto. Si sottopone a qualche disciplina per gestire la rabbia in campo?
«No. Quando sbaglio so che sono io a sbagliare e devo capire subito il motivo. E se perdo devo capire in fretta perché ho perso. Così magari la prossima volta non perderò più».
Qui c’è la sua natura di uomo di montagna che emerge. Ma non le manca mai l’aria delle Dolomiti?
«Eccome se mi manca. Specie quando ho bisogno di stare un po’ per conto mio e una passeggiata per i miei sentieri non sarebbe male. Appena posso torno dai miei genitori».
Quanto tempo è che non indossa un paio di sci?
«Quest’anno non ce l’ho fatta a causa della pandemia».
In tempi diciamo normali però scia? Riccardo glielo permette?
«Certo che scio.

A Natale ad esempio. Riccardo sa che mi piace e dunque non ha niente da ridire. Anche perché sciare piace anche a lui tra l’altro».

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