«Prendo a pugni l'oro» ​Guido Vianello, vola in Brasile con l’etichetta di nuovo Cammarelle

«Prendo a pugni l'oro» Guido Vianello, vola in Brasile con l’etichetta di nuovo Cammarelle
di Emiliano Bernardini e Gianluca Cordella
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Sabato 30 Luglio 2016, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 15:42
A Se quel giorno passando davanti a quella palestra di pugilato non avesse deciso di entrare, oggi probabilmente sarebbe sul divano dopo una partita di tennis a gustarsi i Giochi di Rio. Una sliding door. Guido Vianello invece quella porta l’ha varcata e a forza di sudore e pugni ben assestati alle Olimpiadi in Brasile ci sarà lui e a guardarlo dal divano di casa tanti suoi amici. «Il pugilato per me era uno sport sconosciuto, io nasco da una famiglia di tennisti. Il mio fisico però si sviluppava in fretta e a 15 anni ero già 1,93. Per andare ai campi del centro sportivo dei miei genitori, passavo di fronte a una vecchia palestra popolare della Montagnola, la Team Boxe, così un giorno entrai a chiedere informazioni e fui subito catturato da questo nuovo mondo. Dopo un anno preciso ho vinto il primo titolo italiano junior».

Il pass per Rio lo ha staccato a Baku, all’ultimo torneo utile...
«Erano due anni che rincorrevo questa qualificazione per le Olimpiadi di Rio e l’ho ottenuta nel torneo più difficile. Ho fatto quattro match perfetti e quando sono salito sul ring per la finale guardavo il mio avversario e pensavo: “Tu non puoi vincere, io voglio troppo andare alle Olimpiadi”».

La prima cosa che ha fatto sceso dal ring?
«Mia madre non mi ha mai visto combattere. Né dal vivo, né in televisione. Solo quando sa che ho vinto e sto bene, magari si riguarda qualche incontro. Però mi disse: “Se vai a Rio, io vengo con te”. Così appena mi sono qualificato l’ho chiamata e le ho detto “Compra i biglietti, partiamo per il Brasile”».

Gli addetti ai lavori l’aspettavano per Tokyo 2020, anche perché Cammarelle...
«C’è stato un momento di tensione. Roberto ha la sua età ma anche un curriculum fantastico e a un certo punto gli era passata per la testa l’idea di provarci, poi un susseguirsi di eventi gli ha fatto cambiare idea».

Eppure Cammarelle le lascia un’eredità pesante: tre medaglie nelle ultime tre edizioni dei Giochi. E prima di lui era andato sul podio anche Vidoz...
«Per il momento mi basta che l’Italia abbia un pugile nei supermassimi anche in questa Olimpiade. Io non sento il peso della responsabilità. Vidoz e Cammarelle hanno scritto la loro storia, io devo cominciare a scrivere la mia. A Rio non sono una medaglia sicura, ma posso essere una sorpresa. Vado in Brasile senza temere nessuno e sognando l’oro». 

C’è una “leggenda” che racconta di lei in allenamenti sulla neve come Rocky...
«È vero, è successo in Kazakistan. Eravamo in una struttura dove c’erano il ring, la mensa e il letto. Se provavamo a uscire c’erano -20 gradi e un metro e mezzo di neve. O facevo boxe o facevo boxe. Così per 20 giorni».

Perché l’Italia sforna ottimi dilettanti e pochi professionisti?
«Il dilettantismo è molto “protetto” dai gruppi sportivi militari che ti permettono di fare sport a 360 gradi senza pensare ad altro. Il passaggio da “pro” spesso comporta match da 800 euro ogni tre mesi e devi tirare avanti in altri modi. C’è anche un problema di visibilità. Quando ho fatto le World Series sono andato su Italia1 all’1 di notte: i contatti su facebook sono schizzati».

Nel 2024 potrebbe lottare per un oro nella sua Roma...
«Sarebbe un sogno. Spero con tutto il cuore di poterlo fare. Avrò 30 anni e sarò al top della carriera. Meglio un oro adesso o a Roma? Li prendo tutti e due e magari anche quello di passaggio a Tokyo». 

Lei non ha piercing, né tatuaggi...
«Sono nauseato dal luogo comune che vede il pugile come un ignorante, un malavitoso. Ho amici laureati che fanno boxe. Il pugilato è fatto anche da persone che sanno anche parlare l’italiano o che non devono dimostrare qualcosa necessariamente attraverso i tatuaggi».

E se vince l’oro?
«Mi faccio un tribale maori su tutto il collo... (e ride, ndc)».
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