Ramla Ali, la campionessa di boxe (che era in sovrappeso) di cui è innamorata anche Meghan Markle

Ramla Ali, un pugno al destino e ai cliché
Ramla Ali, un pugno al destino e ai cliché
di Gianluca Cordella
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Domenica 25 Luglio 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 11:05

dal nostro inviato 
TOKYO Cerimonia d’apertura delle Olimpiadi: dietro una bandiera sfilano due, tre o quattro persone. La simpatia è immediata e il folclore prende il sopravvento su ciò che quegli atleti hanno dovuto fare per essere lì. Venerdì sera dietro la bandiera della Somalia sfilavano solo due atleti. Uno salutava e si divertiva, l’ottocentista Ali Idow. L’altra scriveva la storia. L’altra era Ramla Ali, un gigante racchiuso in un corpo di un metro e settanta. Nessun portabandiera - non ce ne vogliano gli altri - era più legittimato di lei. Che domani salirà sul ring della Kokugikan Arena per sfidare la romena Maria Claudia Nechita nel primo turno del torneo di boxe, categoria Pesi piuma. E così porterà a termine la sua missione, iniziata appena nata, quando ancora non aveva cognizione di ciò che sarebbe diventata: mostrare, come ha scritto su Instagram con la foto della cerimonia, che «le donne somale possono splendere dove e quando vogliono».

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Forza pura

Rompere barriere è sempre stata la missione principale di Ramla, da quando ha messo piede nel Regno Unito, con la sua famiglia, il 16 settembre del 1994. Erano in fuga da Mogadiscio, dove imperversava la guerra civile e dove una mina aveva ucciso suo fratello di 9 anni. Qualche mese in Kenya con mamma, papà e gli altri cinque fratelli. E poi la nuova vita Oltremanica. Quando gli Ali arrivano a Londra non hanno nemmeno i documenti. Quando è nata Ramla? E chi lo sa. Secondo il funzionario dell’anagrafe che li accoglie quella ragazzina avrà all’incirca cinque anni e così la sua data di nascita, anticipata di lustro, diventa quella dell’ingresso in Inghilterra. Una bella metafora per Ramla che ora di anni ne ha ufficialmente 31 e realmente chissà. La seconda svolta arriva 7 anni dopo, quando la Ali è un adolescente in crisi con il proprio corpo, come purtroppo tante. E’ in sovrappeso, si detesta. Passa davanti a un palestra e scopre la boxe. Si iscrive clandestinamente. Musulmana minorenne in una palestra frequentata da soli uomini, che non ha nemmeno lo spogliatoio per le donne. Lei aspetta la chiusura: quando vanno via tutti si lava e va casa. Dove non sanno nulla. 

Immaginate la reazione della famiglia? Il pugilato diventa un’ossessione, scende da 83 a 54 chili e continua a danzare sul ring che è una meraviglia.

Combatte, vince, nel 2015 è la prima donna musulmana a diventare campionessa del Regno Unito. Ma, ahimè, mamma e papà scoprono in tv la sua carriera da pugile. Serve l’intervento di uno zio più occidentalizzante per riportare la famiglia alla calma e Ramla sul ring. Uscita dalla clandestinità, la piccola campionessa somala diventa un messaggio di forza non misurabile. Combatte sul ring senza coprirsi ed entra nella scuderia di Anthony Joshua, diventa testimonial di marchi famosissimi di moda e cosmesi e alla carriera da pugile inizia ad affiancare quella da indossatrice.

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L'incontro con Meghan Markle 

La consacrazione, ancora in un settembre, ma del 2019. Le squilla il telefono. “Ciao Ramla, sono Meghan”. Markle, la Duchessa del Sussex. Sta lavorando da guest editor per un numero speciale di Vogue che racconti la forza del cambiamento attraverso le storie di 15 donne. Ramla è fra loro. Si conoscono e la moglie del principe Henry diventa ufficialmente sua fan. Per la campionessa somala la certificazione di essere ormai un personaggio pubblico: motivo per cui nelle interviste non rivela mai i nomi dei suoi genitori, teme che possano essere rapiti da qualcuno che vuole sfruttare in qualche modo la sua celebrità. Ma la storia di Ramla non è quella della rifugiata che sbarca nel mondo di oro e vestiti firmati. Lei tiene corsi di autodifesa gratuiti per le donne musulmane che, come lei, vivono a Londra. Lavora come ambasciatrice per l’Unicef. Da quando è passata tra i professionisti versa il 25% delle borse intascate a Black Lives Matter. E, da Londra, è riuscita a fondare a distanza, a Mogadiscio, la federazione nazionale di pugilato, che non esisteva. E ha preso la tessera numero 1. Perché? Ovvio, il sogno era combattere alle Olimpiadi per la Somalia. E ora ci è riuscita, diventando il primo pugile ai Giochi di un Paese che aveva qualificato sempre e solo atleti legati alla corsa. Forse sarà un capitolo del suo primo libro. Quando uscirà? A settembre, ovvio.

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