Jacobs e Tamberi oro a Tokyo: ecco perché è il giorno più importante dello sport italiano

Perché è il giorno più importante dello sport italiano
Perché è il giorno più importante dello sport italiano
di Alvaro Moretti
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Domenica 1 Agosto 2021, 18:51 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 11:54

C'è un motivo per il quale il 1 agosto 2021 è il giorno più importante nella storia intera dello sport italiano. Poi ce ne sono mille altri, ma il primo è proprio nel senso che diamo - meglio - che dovremmo dare allo sport. Come concetto, elemento filosofico della nostra vita: il motto olimpico lo dice chiaramente, dovendo sintetizzare il concetto stesso di competizione sportiva. Più veloce, più alto, più forte: citius, altius, fortius. L'uomo più veloce del mondo è - per definizione - quello che si prende l'oro olimpico nei 100 metri, Marcellone Jacobs, splendido oriundo texan-bresciano. Chi ha volato più in alto, Gimbo Tamberi. La forza è un concetto più astratto ed è - a mio personalissimo avviso - nel concetto stesso di vittoria.

Lo sport è - basicamente - due cose: correre e saltare.

Corsa e salti sono l'ingrediente principale del calcio, con il quale abbiamo goduto molto di recente con i ragazzi di Roberto Mancini, ma con gli azzurri anche vincere quattro volte il campionato del mondo di calcio - nel 1934, 1938, 1982 e 2006 - è certamente impresa più popolare ma non ha paragoni con la vittoria nei 100 metri olimpici: ai 100 olimpici si iscrivono tutti, ogni paese può vantare un ragazzo che corre veloce e che può pensare di sfidare le batterie a cinque cerchi.

Ben più difficile metter su una squadra di 11, superare qualificazioni e barrage. È piena la storia di carneadi che - magari inciampando su blocchi di partenza per taluni persino sconosciuti - si sono cimentati. Negli anni d'oro della pallacanestro italiana, i talent scout giravano per i campi d'atletica (succedeva anche nello sport Usa) per fare proseliti proprio scovando veloci e saltatori, gente che con lo slancio dopo una corsa (la base dell'azione - appunto - basica del basket è il "terzo tempo") aveva dimestichezza e potenzialità.

 

Quelli che corrono con il fisico possente di Jacobs, nei college Usa, finiscono spesso per proseguire la carriera con i milioni di dollari del football americano. Quando Pietro Paolo Mennea toccò il fantastico 19.72 sui 200 alle Universiadi del 1979 a Città del Messico, primato rimasto imbattuto per lunghissimo, c'era in Italia una cultura sportiva più profonda dell'attuale: allora, forse più del primato e della medaglia d'oro di Mosca, colpiva che uno "normale" come Pietro potesse strappare il record a Tommie Smith o arrivare dove la divinità Carl Lewis non era riuscito mai a spingersi. Eppure Mennea, uno enorme nell'atletica, la finale dei 100 olimpici non l'ha mai nemmeno sfiorata.

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L'universalità della doppia impresa di questo 1 agosto 2021 è anche nel salto di Tamberi (l'oro olimpico lo aveva vinto la grande Sara Simeoni, nel 1980), certo per le implicazioni di vendetta sul destino e per l'accompagnamento mediatico che Gimbo (uno che il basket lo gioca e poteva anche giocare a buoni livelli). Ma forse la dimensione globale di cosa significhi un oro del genere nell'atletica della globalizzazione sta proprio nella leggera imperfezione di questo successo: pari merito con un atletica del Qatar. Sì, anche il minuscolo Qatar ha la legittima aspettativa di cui sopra. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto quanto sia più complesso lo sport olimpico in questi anni: il medagliere diventa pulviscolo di metallo e i giacimenti auriferi di una volta non esistono quasi più.

La scherma, da quando è stata scoperta anche da altre nazioni o microterritori, ci riserva sorprese amare: per fortuna, diciamo. Oggi le medaglie che vengono da lì sono più "vere", più figlie del merito - se questo c'è - che non della scuola o di una competizione mozza, limitata. Non ce ne voglia la più vincente della storia olimpica, sua ministrità Valentina Vezzali: imparagonabile, a nostro avviso, la sua sete di vittoria comunque (ecco, lei il "fortius" lo incarnava).

Di imprese sportive parlavamo e certe corse di Coppi o Bartali hanno rappresentato tanto per tutti noi e forse sono assolute. Come lo fu la corsa leggiadra e studentesca di Berruti, uno che i 200 a Roma li vinceva allenandosi un quinto degli americani. Di sicuro la longevità e il talento di Federica Pellegrini meritano un posto nelle citazioni, lo merita in assoluto il nuoto italiano di questi anni capace di essere squadrone e "movimento" in uno sport allargato a tutti come l'atletica: eppure qui non siamo mai stati gli Usa e - per fortuna - nemmeno la Ddr o la Cina.

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La verità è che le medaglie ai Giochi si pesano, non si contano. Molte discipline, neonate o persino nasciture, sono consessi limitati, poco universali, figli del marketing magari non del merito, non universali. E - a dire il vero - un successo negli sport di squadra e con tradizione olimpica danno la misura giusta del livello di competitività globale di un movimento sportivo: Dio solo sa quanto lo avrebbe meritato la pallavolo italiana un oro a cinque cerchi, che invece manca come certificazione assoluta di primazia che il livello italiano ha mantenuto a livello mondiale per 20 anni.

I quarti dell'Italbasket sono - di per sé - pesantissimi in una competizione che mette insieme il mondo (oltre all'ex Dream Team abbiamo tanta Europa, un'Africa credibile con la Nigeria, l'Australia da medaglia). Alla lista delle imprese sportive italiane di sempre - ora - aggiungete pure voi chi volete. Eppure, nella lista di quelli come Owens ci finisce in questo primo giorno di agosto, Marcell Jacobs. Più veloci, più in alto, più forte forse non si potrà più. Ma resta questo 1 agosto di 100 metri e salto in alto e nei libri di storia olimpica. Stefano Jacomuzzi - il grande storico dell'olimpismo - ne sono certo avrebbe aggiornato la sua "Storia" con un capitolo apposta per Jacobs e Tamberi.

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