Tofoli, doppia sfida nella sua Fano con la Vigilar: «Vincere e diventare un'eccezione»

Tofoli, doppia sfida nella sua Fano con la Vigilar: «Vincere e diventare un'eccezione»
Tofoli, doppia sfida nella sua Fano con la Vigilar: «Vincere e diventare un'eccezione»
di Fabio Petrelli
4 Minuti di Lettura
Venerdì 9 Giugno 2023, 03:30 - Ultimo aggiornamento: 12:31

Paolo Tofoli è di nuovo nelle Marche e di nuovo in quella Fano che lo ha allevato, che lo ha riabbracciato al termine di un lunghissimo percorso di trionfi, riconoscimenti individuali e di squadra come il titolo di squadra del secolo attribuito dalla Fivb alla Nazionale italiana, di cui è stato mente e mani al servizio dei compagni. Da oltre due lustri la vita pallavolistica di Tofoli contempla la panchina e non più il campo: con lui al timone la Vigilar Fano vuole riprendersi un posto privilegiato nel panorama del volley nazionale, sfuggito a fine stagione.

Tofoli, il video che è girato sui social la vede passeggiare sul rettangolo di gioco del PalaAllende. Che effetto fa dopo tanto tempo?
«Bello, sì.

Anche perché nel corso della mia carriera da giocatore mi era capitato di incrociare Fano da avversaria, nel suo anno di A1. Ma disputava le sue partite a Pesaro, per cui è un qualcosa che nel mio passato in campo non è accaduto». 

Ha citato Pesaro. La sua esperienza da coach è decollata poco distante da dove è iniziata quella da giocatore. Coincidenze? 
«Fu un’opportunità che mi era stata offerta, e che ho colto al volo. Con la Scavolini il rapporto si concluse prima del previsto, ma finimmo comunque col mettere in bacheca una Supercoppa e col qualificarci per la Final Four di Champions League. Non è poco». 

A parte una parentesi con la Nazionale femminile, poi è stata solo Serie A maschile un po’ in tutta Italia. Un viaggio lungo...
«Lungo ed istruttivo. Ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere ambienti diversi, con esigenze ed ambizioni differenti. In questo lavoro farsi le ossa è fondamentale: ti mette di fronte a problemi che richiedono di essere risolti, e che ti fanno maturare come persona e come professionista. Ogni avventura è sempre una sfida, con qualcosa da dimostrare: non ci si può sedere e pensare di aver fatto abbastanza, perché c’è sempre un obiettivo da raggiungere, importante a prescindere da quanto sia ambizioso». 

A Fano sarà così. Peraltro in una città che la conosce e che le vuole bene. Responsabilità doppia? 
«Forse sì. Qui ho tanti amici, è normale che vorresti fare bene non solo dal punto di vista professionale, ma anche perché è bello dare soddisfazione a chi ti conosce da tanto tempo e ti ha seguito sempre negli anni. Però non è un peso, semmai uno stimolo a fare ancora di più: giocare tanti anni da pallaggiatore già ti responsabilizza parecchio, tutti i palloni passano da te e non è un caso che qualcuno sostiene che l’alzatore sia una sorta di allenatore in campo. È il saperla gestire, che tu sia in campo o in panchina, che diventa importante». 

C’è anche la storia del “nemo propheta in patria”. 
«Vero (ride) ma sarà una bella occasione per confermare che esistono anche le eccezioni che confermano la regola». 

Che Fano sarà? 
«Diciamo più che Fano mi piacerebbe. Al di là dell’organico, vorrei una formazione che diventasse antipatica da affrontare, di quelle che ti fanno sudare ogni azione, ogni pallone, contro cui sei obbligato a fare quello che dovremmo fare sempre noi, ovvero dare il massimo. Ben vengano elementi di spessore, ma serve soprattutto un gruppo compatto, capace di fare quadrato ed amalgamarsi bene. Ci sarà da lottare e restare sempre coi piedi per terra. E lavorare duro: quello, alla fine, paga sempre». 

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