Ciao Pablito e grazie di tutto. Con la morte a 64 anni,di Paolo Rossi, se ne va un pezzo di Italia. Anche le Marche piangono il grande campione e, con lui, un’epoca indimenticabile.
Il 1982 è stato un anno molto italiano: tragedie e sofferenze insieme al trionfo mondiale della squadra di cui Pablito è diventata l’icona. Era l’anno del Presidente Pertini, di tre presidenti del Consiglio (due Spadolini e un Fanfani), della morte di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Un anno italiano
Nello sport la Juventus vinse il ventesimo scudetto qualche giorno dopo la tragica fine di Gilles Villeneuve.
Senza confini
Dell’internazionalità del bomber parla anche Francesco Casoli, presidente di Elica: «Mi ricordo che andando in giro per il mondo, dall’Africa all’Alaska, tutti mi dicevano: “Sei italiano? Paolo Rossi”». Il 1982? «È stato il via di un decennio eccezionale, nel bene e nel male spumeggiante».
Erano gli anni del grande basket nelle Marche. Da Pesaro un doppio ricordo, per sottolineare quanto la parabola degli azzurri e dei biancorossi abbia percorso binari paralleli. Emozioni di Valter Scavolini, uomo simbolo dell’impresa cuciniera e sportiva: «Il sapore della riscossa, l’orgoglio condiviso e la magia di essere sul tetto del mondo. Erano anni belli anche per il basket pesarese e mentre Paolo Rossi trascinava gli azzurri a vincere il mondiale noi cominciavamo a rendere solida una favola che poi è durata a lungo. Mi dispiace molto per Rossi, un atleta straordinario, morto davvero troppo giovane». Gli fa eco una bandiera di quegli anni come Walter Magnifico: «I primi anni ‘80 sono stati anni carichi di energia, promesse, successi. Rossi portava il nome dell’Italia nel mondo, e parallelamente Pesaro si imponeva nel campo del basket e non solo. La Scavolini Basket degli anni d’oro è stata un po’ come gli azzurri all’inizio, partita un po’ in sordina, dalla provincia, ma in pochi anni abbiamo conquistato tutto quello che era possibile misurandoci con le grandi. Sono bastate poche stagioni per bruciare le tappe con il nome di Pesaro ovunque».
Nel mondo dello spettacolo, convivono l’approccio minimal del premio Oscar Dante Ferretti e l’entusiasmo di Claudio Orazi, sovrintendente del teatro lirico di Genova, entrambi maceratesi. Dice il primo: «Le mie magie non si conciliano con il pallone: di quei mondiali ricordo la finale, fu un’occasione per stare insieme. Alla fine quei gol mi esaltarono e fui contento». Conclude Orazi: «La vittoria ai Mondiali fu un senso di liberazione per la nostra generazione che veniva da anni terribili: una liberazione restituita da calciatori come Rossi». Dietro i suoi acuti, una grande squadra: «Un gruppo che dimostrò grande spirito, guidato da un tecnico formidabile. Rossi era un peso leggero capace di far sognare in grande». Ciao Pablito, ci mancherai.
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