«Io, Kobe e Gianna, un giorno prima del disastro alla Mamba Academy»

Kobe Bryant sabato mattina alla Mamba Academy di Los Angeles. A destra la figlia Gianna
Kobe Bryant sabato mattina alla Mamba Academy di Los Angeles. A destra la figlia Gianna
di Andrea Taffi
4 Minuti di Lettura
Venerdì 31 Gennaio 2020, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 15:48

Last Mamba. L’ultimo Kobe Bryant, l’ultimo prima del terrificante schianto in elicottero domenica mattina in cui ha perso la vita insieme alla figlia Gianna, altre sei persone e il pilota, ce lo racconta Ludovica Albanelli, una studentessa appena 18enne di Ancona che da tre anni frequenta la Saint Paul High School a Santa Fe Springs, una cittadina a circa 15 miglia da Los Angeles. Sabato Ludovica, che gioca ed è una fanatica di basket, era andata alla Mamba Academy insieme a un’amica, Gloria. Per caso. «Gloria conosce la figlia di Shaq (Shaquille O’Neal, altro campione Nba che come e insieme a Bryant ha scritto la storia dei Lakers, ndr) e aveva saputo di un torneo amichevole che si disputava lì nel centro fatto costruire da Kobe. Siccome giocava anche la figlia di Bryant allora abbiamo detto: andiamo. Poi io non ero mai stata lì». Sveglia alle sette, colazione, poi 50 minuti di macchina con la mamma dell’amica per arrivare a Thousand Oaks, periferia nord di Los Angeles. 
 


L’arrivo alla Academy
«Arriviamo alle otto e un quarto in questo centro bellissimo che somiglia tanto a uno dei Facility center di una squadra Nba (sarebbe la sede degli allenamenti, il Milanello del Milan o la Continassa della Juve, ndr): uno spazio indoor molto grande, il padiglione principale con campi di basket e canestri dappertutto e tribune retrattili che potevano disegnare un campo principale. Ma oltre a quello c’erano anche due campi da volley e altri due da beach perché la figlia più grande di Kobe gioca a pallavolo. Poi la palestra, il ristorante, un posto da sogno». Inizia la prima partita che finisce alle 10 e poi la “visione”: arriva Kobe che scende dal piano superiore insieme alla squadra.
L’elicottero, anche sabato
«Sì, avevano detto che fosse arrivato anche quella mattina in elicottero. Era circondato da staff e guardie del corpo, una decina di persone, il campo da basket si è immediatemente riempito. Un’emozione incredibile. Lui? Felpa nera con il simbolo del Mamba, cappellino nero, tranquillissimo ha chiacchierato per qualche minuto a bordo campo poi è andato verso la panchina e ha chiesto agli addetti di liberare immediatamente il campo. Ho percepito come se non volesse distrazioni per la sua squadra». Si è detto e scritto molto della Mamba mentality, l’ossessione del campione per l’allenamento e il miglioramento.
 


La mentalità
«Non saprei se collegarla a quello - dice Ludovica - ma di sicuro si è capito che non ne voleva tante anche se era un’amichevole». Ludovica gioca a basket, le riesce anche abbastanza bene se è vero che ha già una proposta di borsa di studio da un college di New York: l’anno prossimo, se resterà negli Stati Uniti, dovrà passare all’università. Conosce molto bene cosa significa per un atleta rimanere concentrato. «Non siamo riusciti a parlare con lui però me lo sono divorato con gli occhi. Mi è parso nobile nella sua semplicità, un signore, con tutto quello che ha vinto era lì in mezzo alle ragazze come uno qualunque. Come ha allenato? Molto tranquillo, non ha detto cose plateali, aspettava i time out per parlare con le ragazze, disegnava schemi con la lavagnetta. Mi ha colpito il fatto che riprendesse la figlia al pari delle altre». Gianna Bryant, 13 anni, come si può vedere nel video su www.corriereadriatico.it, con la palla a spicchi in mano «ha movenze molto simili a quelle del padre e una scioltezza di movimenti che ricorda molto la classe cristallina del padre» annota Ludovica. Il Mamba Team gioca due partite alle 10 e alle 11. Le ultime per Kobe e Gianna. «Poi alle 12 ha rigiocato la squadra che aveva aperto e alle 14 siamo tornati a casa». Venti ore dopo il disastro. 
Come in un incubo
Come ha saputo la notizia Ludovica? «Ero a casa con Tmz accesa di mattina.
Non ci credevo all’inizio, pensavo a una bufala. Figuriamoci, l’avevo visto il giorno prima mi pareva impossibile che potesse succedere una cosa del genere... Invece no. Sulla città è scesa come una cappa. Dappertutto ci sono foto di Kobe e Gianna, candele, fiori. Sembra un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA