Oggi, 40 anni fa, il ritorno degli stranieri in serie A. Aspettando Falcao, Platini e Maradona, arrivarono i primi "bidoni": Luis Silvio ed Eneas

Luis Silvio con Eneas
Luis Silvio con Eneas
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Sabato 9 Maggio 2020, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 12:16

Un dentista (o presunto tale) li bloccò. Lo scandalo (non presunto) del calcioscommesse li fece tornare. Esattamente 40 anni fa. Il 9 maggio 1980 il Consiglio Federale riaprì la serie A italiana ai calciatori stranieri, ponendo fine all'autarchia che durava dal 1966, quando la chiusura venne decisa dopo l'eliminazione dell'Italia ai Mondiali inglesi a causa della sconfitta con la Corea del Nord e del gol di Pak-Doo Ik. Una riapertura timida: al massimo un giocatore per squadra, che sarebbero diventati due dal torneo 1982-83 e tre dal 1988-89, sino alla rivoluzione portata dalla sentenza Bosman del 1995.

La prima ondata portò in Italia 11 giocatori dall'estero, un mix tra campioni, buoni giocatori, personaggi folkloristici, meteore e flop. La storia cult rimane quella del 20enne brasiliano Luis Silvio Danuello, che la Pistoiese prese dal Ponte Preta per 170 milioni di lire dopo averlo visto giocare in un'amichevole. Accomodata per farlo sembrare un fenomeno agli occhi degli emissari toscani? Il giocatore qualche anno fa smentì questa versione. Ma perché rovinare una bella storia con la (presunta) verità? Soprattutto se si pensa che Danuello alla Pistoiese (immediatamente tornata in B) portò solo 6 fugaci ed inefficaci apparizioni in campo (schierato punta in italiano e non “ponta” in portoghese, fuori ruolo per un equivoco linguistico su una vocale), ma regalò a tutti noi il mito di Aristoteles. Perché nel primo inimitabile “L'allenatore nel pallone”, Oronzo Canà-Lino Banfi portato dagli improbabili faccendieri Giginho e Andrea Bergonzoni (Gigi e Andrea) in un raffazzonato campetto nei pressi del Maracanà dove Aristoteles (che comunque avrebbe poi salvato la Longobarda) faceva faville contro ragazzini imbranati, altro non è che la trasposizione cinematografica della “leggenda” legata a Luis Silvio.

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Una foto di quel campionato ritrae Danuello al fianco del connazionale Eneas De Camargo. Che aveva 26 anni quando venne acquistato dal Bologna. Fece anche tre gol, ma ne sbagliò in quantità industriali, e soprattutto per lui la disciplina tattica italica era un curioso mistero. Venne piegato poi dalla saudade e dal freddo, che cercava di sopportare giocando con guanti e calzamaglia. Una primizia. Si dice che rimase spaventato dalla neve, che mai aveva visto prima dell'approdo in Italia. Il pubblico emiliano gli volle bene come una mascotte e pianse quando a fine 1988 arrivò la notizia della sua scomparsa a causa delle conseguenze di un terribile incidente stradale in Brasile. Per tutti in Italia era e sarà sempre il "Passerone triste".

Eneas a fine 1981 venne spedito all'Udinese e scambiato con il centrocampista tedesco Herbert Neumann, altra meteora scovata per i tifosi friulani. Ancora ignari del fatto che, nel 1983, avrebbero accolto sua maestà Zico. Bella differenza.

Passò senza lasciare segno (e ricordi) anche l'attaccante argentino Sergio Fortunato, che il Perugia pagò 780 milioni di lire.

Le esultanze sopra le righe e spesso esagerate sono da tempo la normalità nei campi di calcio. Ma quando Juary cominciò a fare la danza attorno alla bandierina del calcio d'angolo dopo ogni gol all'Avellino, il trottolino brasiliano noto più per quello che per le gesta sul prato verde. Tutt'altro che disprezzabili. Avrebbe giocato in Italia (dove tutt'ora vive, a Lodi) sino al 1985 (29 reti totali tra Avellino, Inter, Ascoli e Cremonese) per poi passare al Porto e segnare il gol decisivo nella finale di Coppa dei Campioni del 1987 contro il Bayern Monaco.

Il Torino scelse il difensore olandese Michel Van De Korput, in granata con alterne fortune sino al 1983 per poi tornare al Feyenoord e diventare compagno di squadra di Johann Crujiff nella sua ultima stagione sui campi. Per la Fiorentina ecco l'argentino Daniel Bertoni, campione del Mondo nel 1978 e destinato a ricongiungersi in seguito a Napoli con il Pibe de Oro Diego Armando Maradona.

Stiamo salendo di livello. L'aspetto esotico sta lasciando spazio alla qualità e alla classe. Il Napoli, si diceva. Iniziò benissimo in quel 1980, portando al San Paolo l'aitante ed elegantissimo Ruud Krol, che in Campania trovò a 31 anni una seconda giovinezza dopo i fasti e la rivoluzione del calcio totale olandese di Rinus Michels e le due finali mondiali del 1974 e del 1978. I tifosi partenopei si rifecero gli occhi vedendolo da libero, pur nella fase discendente della carriera. Il Napoli nel 1980-81 sognò lo scudetto sino all'inopinata sconfitta in casa con già retrocesso (e penalizzato per il calcioscommesse) Perugia. Perse il tricolore dalle maglie l'Inter di Eugenio Bersellini del centrocampista austriaco Herbert Prohaska. Che in nerazzurro arrivò in semifinale di Coppa Campioni e si aggiudicò la Coppa Italia del 1982. La gioia dello scudetto? Nel 1983 alla Roma, al fianco del divino Paulo Roberto Falçao. La stella più fulgida di quella prima ondata. L'ottavo Re di Roma prima di Francesco Totti, centrocampista poco brasiliano, ma molto europeo. Destinato a diventare un idolo. Ma nel 1980-81 i giallorossi masticarono amaro nell'avvelenato scontro al vertice del Comunale di Torino con la Juventus, quello del gol annullato per fuorigioco a Turone di cui si parla ancora adesso. E sul quale ancora oggi non ci sono certezze granitiche.

Il primo scudettato dopo la riapertura delle frontiere fu infine il bianconero Liam Brady, che nell'aprile del 1980 con l'Arsenal aveva contribuito all'eliminazione della Juventus nella semifinale di Coppa delle Coppe.

Il 10 irlandese avrebbe bissato il titolo nel 1982, realizzando con professionalità impeccabile il rigore decisivo a Catanzaro, quando già si sapeva che sarebbe stato rimpiazzato da Michel Platini.

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