Roma, Mourinho è il padrone di casa

Roma, Mourinho è il padrone di casa
di Andrea Sorrentino
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Sabato 11 Settembre 2021, 07:30

Il leone è un animale territoriale, difende la porzione di savana in cui ha deciso di vivere con tutti i mezzi, a cominciare dai ruggiti, per dissuadere iene e nemici vari. Anche José Mourinho è un allenatore territoriale. Nella sua filosofia, la costruzione della propria forza passa necessariamente dalle partite in casa, dove una squadra deve erigere il suo fortino, e attraverso quello scudo psicologico farsi grande. Questo è il nostro campo, dice José, questo è il nostro stadio e quella è la nostra gente: quindi gli altri non devono passare, non possono vincere nemmeno per sbaglio, soffriranno tanto per evitare la sconfitta. Anche così si edifica l’autostima. 
IL TIFO
Oggi gli stadi non sono quei pentoloni fiammeggianti di una volta, spesso buona parte del pubblico è distratta da telefonini e selfie, il tifo non è più così partecipe. Ma il ruggito leonino e l’afflato della folla, per Mourinho, sono parti indispensabili del programma. Il fatto che i tifosi della Roma rispondano all’appello, col tutto esaurito contro il Sassuolo (rispetto alla capienza consentita, s’intende) e quasi certamente pure col Cska Sofia, non potrà che far piacere allo Special, lui si attende tanta gente e molto vicina ai giocatori, ne ha proprio bisogno. Il suo orgoglio è il curriculum di 25 successi tra campionati e coppe, ma anche l’ingresso nel 2015 nel Guinness dei primati per il suo record di gare di campionato senza sconfitte in casa tra il febbraio 2002 e l’aprile 2011. Oltre 9 anni e 150 partite, tra un Porto-Beira Mar 2-3, lui appena arrivato al Porto, e un Real Madrid-Sporting Gijon 0-1. In mezzo, 125 vittorie e 25 pareggi. L’allenatore dello Sporting che interruppe la serie si chiamava Manolo Preciado: morì 14 mesi dopo, per un improvviso malore. Nei tre anni a Madrid, José perse tre volte al Bernabeu: due il primo anno, una nel secondo (contro il Barcellona) in cui vinse la Liga e nessuna nel terzo. Poi tornò al Chelsea, perse una volta a Stamford Bridge il primo anno e nessuna nel secondo. E appena tre sconfitte a Old Trafford (due da Guardiola col City) nei due anni completati al Manchester United. Nelle 14 stagioni intere in cui ha guidato una squadra, JM ha vinto 8 campionati, e su 53 sconfitte totali appena 7 sono arrivate in casa. E’ imbattuto in casa in Italia: 39 partite senza sconfitte, a due gare dal record di Allegri, 41. Chi era con lui nei due anni all’Inter, ricorda che in realtà la preparazione meticolosa delle partite era la stessa: cura maniacale dei dettagli, orari, riunioni e discorsi motivazionali non mutavano, tra gare in casa e trasferta. Ma a San Siro la squadra riusciva ad esprimere sempre un qualcosa di feroce e di intimidatorio, grazie anche alla spinta del pubblico, e gli avversari in qualche modo lo avvertivano. Si era creato un circolo virtuoso, per così dire. Era difficile, anzi raro, che qualcuno andasse in vantaggio in casa dell’Inter. Quelle poche volte, la pagava cara: chi osava segnare per primo, poi perdeva la partita, altro che strappare un pareggio. Un reduce di quegli anni ci racconta che dentro di loro c’era una convinzione strana, erano sicuri che se fossero andati in svantaggio avrebbero recuperato senz’altro, e con gli interessi. 
RICORDI
Memorabile quell’Inter-Siena del gennaio 2010, i toscani addirittura due volte avanti, 1-0 e 3-2: eppure in qualche modo finì 4-3 per l’Inter, gol vittoria di Walter Samuel spostato a centravanti.

In semifinale Champions, il Barça andò avanti con Pedro: San Siro e una squadra di fenomeni emotivi ribaltò fino al 3-1. Una volta, una sola, il pareggio in casa fu per l’Inter di Mourinho quasi un successo. Nella famosa serata delle manette di José, Inter-Sampdoria del febbraio 2010. L’arbitro Tagliavento espulse nel primo tempo Samuel e Cordoba per falli su Nicola Pozzi che cadeva un po’ facilmente: ma un’Inter feroce ghiacciò la partita, José fece il gesto delle manette per dire “arrestatemi pure, ma la mia squadra non perderà neppure in 9”, mandò il pubblico in delirio, tenne il pari, indusse Tagliavento ad espellere almeno il doriano Pazzini. Ma i giocatori non erano contenti, in casa volevano sempre vincere, si sentivano frustrati. Così a fine partita, nel tunnel, il tenero Pozzi provò gran dolore per aver rovinato la serata interista, ne portò i segni addosso per un po’. Cambiasso, il giustiziere, fu squalificato per due giornate. Poco male, l’importante fu il messaggio: a casa di Mourinho, certe cose non si devono fare.

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