Massimo Moratti: «Moggi e la Juve? Quanta disonestà». E su Mourinho: «La sua spavalderia mi piacque moltissimo

Intervista all'ex presidente dell'Inter tra presente, passata e futuro

Massimo Moratti: «Moggi e la Juve? Quanta disonestà». E su Mourinho: «La sua spavalderia mi piacque moltissimo
Massimo Moratti: «Moggi e la Juve? Quanta disonestà». E su Mourinho: «La sua spavalderia mi piacque moltissimo
di Salvatore Riggio
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Sabato 29 Ottobre 2022, 10:13 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 10:50

«La più grande forma di disonestà è imbrogliare sui sentimenti della gente». Parola di Massimo Moratti, ex patron dell’Inter, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, quando parla di Luciano Moggi, ex dirigente Juventus. «Mazzola ha raccontato di aver lasciato l’Inter perché io mi consultavo con lui? Non è andata così. È vero che Moggi voleva venire all’Inter e io non gli ho mai detto esplicitamente che non lo volevo ma non l’avrei mai preso. Il motivo? La serie A era manipolata e noi eravamo le vittime. Doveva vincere la Juve e se proprio non vinceva la Juve toccava al Milan. Una vergogna». All’epoca di Calciopoli, nel 2006, all’Inter c’era Giacinto Facchetti come dirigente: «Un uomo splendido. Una volta gli dissi: “Giacinto, possibile che non si trovi un arbitro, uno solo, disposto a dare una mano a noi, anziché a loro?”. Mi rispose: “Non può chiedere a me una cosa del genere”». Alla Juventus tolsero due scudetti, uno assegnato all’Inter. Da sempre rivendicato da Massimo Moratti: «Assolutamente sì. So che gli juventini si arrabbiano e questo mi induce a rivendicarlo con maggiore convinzione. Quello scudetto era il risarcimento minimo per i furti che abbiamo subìto. Ci spetterebbe molto di più». Poi arrivarono i trionfi di Roberto Mancini, ora ct della Nazionale, e di José Mourinho, attuale tecnico della Roma: «Ascoltando una sua intervista tv, tra una semifinale e l’altra della Champions 2004. Il suo Porto aveva pareggiato con il Deportivo La Coruña, il ritorno si annunciava molto difficile. E lui disse: “Ma quale Deportivo, io penso già alla finale”. La sua spavalderia mi piacque moltissimo».

E fu Triplete: «Missione compiuta. Ero fiero che la stessa famiglia avesse rivinto la Coppa quasi mezzo secolo dopo. Per la prima volta mi sono sentito degno di mio padre, anche se lui resta inarrivabile. Ancora oggi mi capita di trovare persone che mi parlano di lui, che gli devono qualcosa. Noi eravamo una famiglia allegra. Papà lavorava tutto il giorno, ma ogni sera ci ritrovavamo a sentire la radio: Franca Valeri, Alberto Sordi. Mio papà era fantastico. Non ho mai ritrovato, in tutta la mia vita, un uomo al suo livello. E per tutta la mia vita ho tentato di imitarlo; pur sapendo che era inimitabile. Geniale, affascinante, spiritoso, simpatico, umanamente ricchissimo. Veniva dalla povertà. Il nonno aveva la farmacia di piazza Fontana a Milano, ma papà andò via di casa a 14 anni: sua mamma era morta, e non voleva vivere con la matrigna, dura come quella delle favole». Tanti trionfi, ma anche una delusione. Quella del 5 maggio 2002, sconfitta contro la Lazio all’Olimpico all’ultima giornata e scudetto alla Juventus: «I giocatori credettero di aver avuto segnali dai colleghi della Lazio: non si sarebbero impegnati, per non favorire la Roma. Tutte balle. Ne ero convinto già prima del fischio d’inizio, e li avvisai: “Nessuno ci regalerà nulla”. Eppure entrarono in campo con una sicurezza eccessiva. E non sono mai riusciti a prendere in mano la partita. Mi sentivo così responsabile che mi dissi: non lascerò il calcio finché non avrò la rivincita. Bobo Vieri? Un bastiancontrario, sempre critico verso la dirigenza; ma non un cattivo ragazzo. All’Inter fece tutto quello che poteva fare; eppure non ha vinto nulla. Ibrahimovic? Simpaticissimo. Avevo l’abitudine di consultare i giocatori più importanti per la campagna acquisti, e con Zlatan avevamo un rito.

Lui mi diceva: “Di Cambiasso l’anno prossimo potremmo anche fare a meno...”. Io ridevo. Poi andavo da Cambiasso, che mi diceva: “Di Ibra l’anno prossimo potremmo anche fare a meno...”.

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Ma in campo giocavano alla morte l’uno per l’altro. Per chi parteggiavo nello scontro tra Zlatan e Lukaku? Pareva un match di boxe tra due campioni del mondo. Lukaku è un tesoro... Mi sarei frapposto tra i due, a rischio di prenderne da entrambi». Moratti ha raccontato anche il suo più grande incubo da ragazzino: «Qualcosa che non andava c’era. Nordahl. Grande, grosso, inarrestabile. Ne avevo una paura fisica: lo vedevo a San Siro e me lo sognavo di notte. Nordahl fu l’uomo nero della mia infanzia». E c’è anche un aneddoto su quando comprò l’Inter da Ernesto Pellegrini: «Quando comprai la società feci bloccare gli ascensori della sede per impedire che mia moglie Milly salisse a fermarmi. Quando tornai a casa non trovai nessuno, brindai con la cameriere. Peggio il Milan o la Juve? La Juve, senza dubbio». Infine: «L’Inter sarà cinese ancora per poco? Gli Zhang, sia il padre sia il figlio, mi sono sempre parsi in buona fede. All’inizio mi chiedevano di parlare ai giocatori, di motivarli. Ma oggi reggere a lungo nel calcio è impossibile. Ogni anno le perdite raddoppiano o quasi: 50 milioni, 100 milioni, 150 milioni. Forse arriverà un fondo americano. Ma attenti alla speculazione. Il calcio non è costruito per fare soldi. Gli americani vorrebbero trasformarlo in spettacolo. Show-business. Ma non so se in Italia sarà mai possibile. Chi vincerà il campionato? Potrebbe davvero essere l’anno del Napoli. Anche il Milan fa paura. L’Inter ha una struttura forte; ma poi sul più bello si smarrisce». E sul nuovo stadio: «Non mi convince. Buttare giù San Siro sarebbe un delitto. Dice: così i club guadagnano 30 milioni l’anno. Ma cosa sono 30 milioni, rispetto alla storia? Vedrete che alla fine nessuno oserà demolire il nostro tempio».

 

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