Se il Milan è campione d'Italia per la 19° volta lo deve anche al mister Stefano Pioli. Il normalizzatore che riesce nello straordinario, il Normal One che scrive la storia. L'allenatore non ha mai apprezzato questi appellativi. In passato era stato scelto perché uomo capace di riportare ordine nel caos, serenità nella tensione. Ma Pioli sapeva di poter dare molto di più e al Milan lo ha dimostrato.
Pioli e l'impresa scudetto
L'impresa rossonera porta la sua firma.
Con il lavoro, la compostezza e soprattutto i risultati, Pioli conquista la stima dei tifosi. Quella della squadra invece non è mai mancata, «giovani e ambiziosi» guidati dall'allenatore rossonero che ha sempre potuto contare nell'aiuto dei grandi campioni come Ibrahimovic, Giroud, Florenzi. Un mix perfetto, sapientemente gestito da un allenatore che è anche psicologo. In meno di tre anni, Pioli riporta il Milan in Champions dopo sette anni di assenza, conquista il secondo posto in classifica e poi alza lo scudetto dopo 11 anni di magra. A San Siro « Pioli is on fire» riecheggia tra gli spalti, una colonna sonora che è celebrazione dell'allenatore che nel Milan ha trovato una famiglia, tanto che la fede interista è andata scemando fino al grande sgambetto proprio ai nerazzurri.
A Milanello si respira un clima di serenità che mancava da tempo. Nessuno screzio, nessun diverbio pubblico, massima professionalità da ragazzi poco più che ventenni. Ambiziosi, ma senza l'aggressività agonistica tipica delle squadre alla Conte. Pioli è più concreto e diretto di alcuni colleghi, come Spalletti. Alla ricerca del gioco divertente e non solo dei punti. È lo stile di Pioli, di chi ha la passione della bicicletta, del culto della fatica in solitaria dove parlare troppo è controproducente. Una filosofia vincente che gli ha permesso di superare per media punti predecessori del calibro di Allegri, Ancelotti, Rocco, Sacchi, arrivando ad un passo da Capello. Merito di un club che ha saputo guardare in prospettiva, che ha creduto, davvero, in un progetto, sapendo aspettare. Questo scudetto non ha il volto di un singolo, ma del gruppo.
Le individualità sono state allontanate, premiando sempre la sostenibilità. Doveva essere la stagione dell'assestamento dopo gli addii di Donnarumma e Calhanoglu, strappi dolorosi che hanno lasciato un segno. Invece il Milan ha vinto senza un bomber per eccellenza, utilizzando quasi tutta la rosa costata 228 milioni di euro con Tomori, Theo Hernandez, Tonali e Leao costati meno di 30 milioni ognuno. Così la gestione Elliott diventa un modello e attira l'attenzione di molti investitori. Investcorp dopo aver offerto circa 1.180 milioni di euro per il Milan ha sospeso la trattativa. È mancata l'intesa con il fondo statunitense che sembra invece vicinissimo all'accordo con RedBird, società Usa che ha valutato il Milan 1.300 milioni di euro. Numeri da capogiro, se si pensa la situazione del club rossonero prima che fosse rilevato da Elliott. Lo scudetto è il primo successo del fondo Usa, dopo appena quattro anni. E dopo la conquista del tricolore, saranno giornate intense fuori dal campo. Si scriverà il futuro del club, dopo che la squadra ha scritto un pezzo di storia tornando Campione d'Italia.