Signori: «Dieci anni d'inferno: ho rischiato la vita, ora una panchina per ripartire»

Signori: «Dieci anni d'inferno: ho rischiato la vita, ora una panchina per ripartire»
di Daniele Magliocchetti
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 07:34

Giuseppe Signori, 53 anni, ex attaccante, 188 gol in serie A. Arrestato e imputato nel calcio-scommesse nel 2011, assolto nel 2021 «perché il fatto non sussiste», radiato dalla Figc nel 2011, graziato e riabilitato dal presidente Gabriele Gravina il 1° giugno del 2021. L’esilio è finito. «È un giorno di felicità, ma anche di grande tristezza e sofferenza perché mi riporta indietro di dieci anni. Rinascere no, ma contento di aver ottenuto quello che volevo. Ho rinunciato alla prescrizione, per me o era bianco o nero, sono l’unico uscito bianco da tutti i processi». 
Il primo giugno 2011 l’arresto, il primo giugno 2021 la grazia.
«Sembra tutto fatto apposta e preparato a tavolino, ma non è così. Arrivarci non è stato facile. Vieni sbattuto in un posto che non è il tuo, processi, avvocati, interrogatori. In campo puoi sbagliare l’approccio, l’atteggiamento, ma sei consapevole dei tuoi mezzi. L’ambiente del tribunale è pesante, non è uno stadio». 
Un giorno che non dimentica. 
«L’arresto. Una valanga improvvisa. Portato in questura a Bologna, impronte digitali e foto segnaletica. 150 fogli letti in poche ore. Giornalisti che chiamavano e lì feci la dichiarazione “Abbiate pietà” che qualcuno girò a suo favore, intendendo che era un modo per chiedere scusa, come fanno i pentiti o i boss, in realtà era per dire che non ci stavo capendo nulla». 
Cosa le è rimasto impresso?
«Lo sguardo della gente era diverso da quello che leggevo negli occhi quando giocavo. Viviamo in un mondo in cui determinate persone godono a vedere la gente che sta male. Per fortuna ho incontrato Patrizia Brandi, il mio avvocato, la mia amica. Non ringrazierò mai abbastanza Dio per avermela fatta conoscere». 
L’impianto accusatorio?
«Su 70.000 intercettazioni non c’è una che mi riguardi. Zero. Ma se ero il boss dei boss come facevo a organizzare e truccare le gare? Con dei segnali di fumo? Venivo pedinato, il gps attaccato sotto la macchina, ogni volta che mia moglie Tina buttava la spazzatura arrivavano lì per vedere se avessi gettato qualcosa di compromettente. Sembrava di stare in un film, ma era la mia vita. Totalmente distrutta e disintegrata». 
È vero che non è mai stato interrogato? 
«Mai. Feci il primo interrogatorio di garanzia con il pm che dopo tre minuti se ne andò, dicendo: “mi alzo vista l’inutilità di questo interrogatorio”. Chiesi di essere ascoltato più volte, ma niente. Gli altri 134 imputati furono interrogati tutti, alcuni più volte. Io mai. Ma ero Beppe Signori, il mio nome serviva a quell’inchiesta».
Perché tutto questo? 
«Per quel maledetto incontro del 15 marzo 2011 nello studio dei miei ex commercialisti, dove non è successo nulla. C’erano le intercettazioni. E poi perché, siccome a Signori piace scommettere era facile coinvolgerlo. Tutti quelli che mi conoscono sanno che per me scommettere è un modo per andare oltre i miei limiti. Scommettiamo l’aperitivo che ti faccio vedere come segno da dietro la porta? Ecco: questo era il mio modo di interpretare le scommesse, ma andare da un collega e promettere 100 mila euro o un panino per truccare una partita, io non lo farei mai, mi vergogno perfino ad andare a chiedere un biglietto, figuriamoci una roba del genere». 
Ne ha risentito anche la salute. 
«Due anni fa ho rischiato di morire. Sputavo sangue, non sapevo cosa fosse, sono andato al Sant’Orsola e per fortuna ho trovato angeli custodi come il professor Nava, Lima e Pancalli: durante i controlli il mio cuore non ha retto e loro mi hanno salvato la vita. È stato anche a causa dello stress accumulato, certo fumavo, ma quello che ho passato è stato brutto. Questi 10 anni non li riavrò indietro». 
Ci sono stati brutti pensieri.
«Quando ti trovi nella disperazione completa ti viene in mente tutto, poi devi fare i conti con quello che è la vita a prescindere. Ho mia moglie, i miei cinque figli, i miei genitori e gli amici che sono rimasti. E tutti quei tifosi che mi vogliono bene». 
E ora? 
«Vorrei allenare, vorrei rimettermi in gioco.

Certo sono ancora ferito, ma sono un leone e pronto a qualsiasi sfida». 

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