Europei, un calcio anche al Covid. A Roma via allo show di Euro2020

Euro 2020, il calcio d’inizio dovevano darlo al Covid-19
Euro 2020, il calcio d’inizio dovevano darlo al Covid-19
di Piero Mei
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Giovedì 10 Giugno 2021, 10:31 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 14:50

Il calcio d’inizio dovevano darlo al Covid-19. E invece questi Europei che s’inaugurano all’Olimpico, con il primo pallone affidato al ricordo di mille magie, quelle di Totti e Nesta (ma non diciamolo a Seedorf sennò s’arrabbia per un cucchiaio, e non diciamolo nemmeno a Delvecchio sennò si pavoneggia per certi derby), nel brutto mezzo del Covid-19 ci scagliano ancora. Già che si chiama ancora Euro2020 è un po’ triste: simboleggia, forse, che questo disgraziatissimo anno passato è come se volessimo cancellarlo dal calendario, e invece c’è stato e qualche avvisaglia, già da questa manifestazione, per la prima volta “itinerante”, arriva per dirci che c’è ancora. Come una delle partite del primo turno, Spagna-Svezia, insegna.

 

La Spagna s’è decisa al vaccino last minute dopo due casi di coronavirus identificati  e dopo che il cittì Luis Enrique ha convocato, in una specie di bolla parallela, 11 ragazzi dell’Under 21 a fini precauzionali, almeno per gli allenamenti e magari anche perché “non si sa mai”, al tempo in cui le regole internazionali e nazionali sono in mutazione perenne con varianti più numerose di quelle del virus.

La Svezia, poi, il Paese dell’immunità di gregge da raggiungere secondo il vecchio credo della peste manzoniana (a chi la tocca, la tocca) è ancora in bilico.

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L’Inghilterra, che passò in un amen dal “perderete i vostri cari” a “un vaccino per tutti”, anche se una dose sola mentre le sperimentazioni erano state fatte su due, attende disposizioni: del resto tutto il Regno Unito, non solo calcistico, le attende e pare che il “Freedom Day”, il 21 giugno, inizio dell’estate e della ritrovata libertà, sarà magari spostato di quindici giorni per non cadere vittime della variante che ora si chiama Delta e che prima si chiamava “indiana”, ma il “politically correct” impone che non si citi più l’origine geografica, altrimenti s’invitano a nozze gli haters.

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C’è, in questo Europeo dall’Atlantico agli Urali, secondo una antica idea buttata là dal generale De Gaulle (“vaste programme” si sarebbe auto criticato per sottolinearne l’irrealizzabilità), comunque qualche buon segnale di ripartenza: gli stadi che riaprono pro quota, facendo entrare una percentuale di spettatori rispetto alla capienza. Fortunatamente a nessuno è venuto in mente (tempo al tempo…) di “quotare le quote”, un uomo-una donna-un uomo-una donna, formula che non terrebbe conto del fludo e dell’identità di genere. Ascoltare dal campo (o anche da tv, tablet, telefonini, via app o via social o via altre diavolerie tecnologiche) il “roar” del pubblico, sarà, si può supporre, stimolante per giocatori e spettatori in presenza o a distanza. Sarà ritrovare un po’ di noi e del bel tempo che fu, allo stadio con papà.

 


L’Europeo dall’Atlantico (il Portogallo, no?) agli Urali (la Russia, no?) è l’ennesima prova che lo sport unisce quel che la politica divide. Lo sport, perfino il calcio che forse sport non è più ma show business (ma poi, direbbe Nick Hornby, “a settembre c’è sempre un campionato che ricomincia”, anche se ormai per ragioni di cassetta ricomincia ad agosto), sa mettere insieme storie e vicende che fuori dal campo poco saprebbero starci. E può proporre le piccole e grandi sfide del mondo, può “manifestare”, e può anche guidare qualche pensiero. Uno, magari minimale ma per loro no, è quello dei giocatori dell’Ucraina che sulla maglietta hanno stampato la silouhette della loro terra, e il disegno comprende la Crimea, il che avrà fatto travasare la bile a Putin al Cremlino.


Di più, e che riguarda tutto il mondo, è quello che si prevede si vedrà contro il razzismo. Giocatori di pelle chiara o scura che s’inginocchieranno, come fece per primo il campione di football americano Kaepernick e l’ha pagato con l’ostracismo, in segno di protesta. I signori dello sport forse storcono il naso quando un campione ha un’idea e la propone e la difende, sono quelli che ancora non perdonano il pugno teso e chiuso di Tommie Smith e John Carlos, Messico ’68. Più di mezzo secolo dopo c’è ancora la necessità di testimoniare che “Black Lives Matters”. I giocatori di una squadra cult, il St Pauli di Amburgo, invece dello sponsor vogliono sulla maglia una critta che dica che il fascismo deve stare fuori dal calcio. Poi ti ritrovi commentatori francesi che guardano l’immagine da figurina di squadra dell’Italia e la indicano come “squadra del Ku Klux Klan” per via dell’assenza di neri, come se le convocazioni dovessero partecipare del razzismo dell’antirazzismo e anche qui quotare le presenze sul colore della pelle. Ma questo sì che sarebbe razzismo. E poi è facile dirlo, avendo Mbappè. Ha detto Romelu Lukaku: quando segno belga e basta, quando no sono belga di origini congolesi.

“I bambini ci guardano” ha scritto in una bella lettera il cittì inglese Southgate, invitando i suoi ragazzi a indicare !questa è l’Inghilterra”. Gli ha dato subito ascolto Foden, uno dei migliori della Generazione Z che sarà, forse, la rivelazione di Euro2020, conciandosi i capelli al modo e alla moda che adesso chissà quanti ragazzi seguiranno. Tranquilli, lo faceva anche Gascoigne, il simbolo del buon calcio inglese d’una volta, giocate impossibili per gli umani e birra a garganella.

 


Piuttosto c’è da chiedersi che calcio ci proporrà questo Euro2020. La noia infinita della costruzione dal basso, la geometria orizzontale da sbadiglio? O invece la sbarazzina Italia di Roberto Mancini? Non ce la fa “uno su mille”, ma “uno su 24”, che già è un po’ meglio. La mascotte dell’Italia che vorrebbe arrivare fino a Wembley, senza quarantena se possibile, nasce da vecchi bozzetti di Carlo Rambaldi, tre Oscar e uno per E.T. Sarebbe bello se Euro2020 ci regalasse un extraterrestre in azzurro che già all’Olimpico dicesse “telefono, casa, gol”. I francesi sono i favoriti, i portoghesi hanno CR7 (ancora?), gli inglesi che hanno inventato il calcio vinceranno prima o poi, i belgi comandano il ranking, gli spagnoli sono sempre tra i primi, i tedeschi sono tedeschi e alla fine… Ma questa Italia con quest’aria fresca e mai spaurita, così giovane e bella…  E non dimentichiamo che la meraviglia e il fascino del calcio sono che poi può vincere anche una Grecia qualunque: è successo già.
 

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